giovedì 5 settembre 2013

CAP. 7 - LA TUTELA DEI DIRITTI


CAP. 7 - LA TUTELA DEI DIRITTI

1. I DIRITTI FONDAMENTALI NELLO STATO MODERNO
La formazione dello stato moderno è stata accompagnata da una serie di dichiarazione dei diritti (Petition of Rights, Bill of Rights inglese e americano). In realtà, il primo organico riconoscimento delle libertà fondamentali viene considerata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, con la quale i rappresentanti del popolo francese proclamarono nel 1789 “i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo”. La concezione moderna delle libertà fondamentali di cui era testimonianza la Dichiarazione si alimentava del pensiero filosofico giusnaturalistico del XVI e XVII secolo il quale rivendicava il valore autonomo dell’individui nei confronti dell’autorità dello stato. Di esso si faceva interprete fino a tutta la prima metà dell’Ottocento, la classe della borghesia, applicando i principi del liberalismo classico (separazione dei poteri, supremazia della legge, preminenza del parlamento).

I° - Diritti civili
La prima generazione di diritti ad affermarsi fu quella rappresentata dalle libertà dallo stato, o libertà negative. Nella prima metà dell’Ottocento, la borghesia contribuì all’affermazione dei diritti civili, ossia quelle libertà fondate sulla rivendicazione per l’individuo di una sfera propria, in cui potesse essere del tutto autonomo e indipendente rispetto allo Stato: fra queste, la libertà personale, la libertà di domicilio, le libertà economiche e il diritto di proprietà, la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà religiosa. Sono dette libertà “negative” in quanto lo stato non deve svolgere attività di intrusione e non può intervenire a limitarle o a lederle. Altrimenti dette “libertà dallo stato” poiché si chiede allo stato di fare un passo indietro e limitarsi a tutelare i diritti dei singoli. Chiaramente i diritti civili si affermano dopo e in opposizione all’esperienza dell'assolutismo in cui non erano garantiti diritti inviolabili.

II° - Diritti politici
La seconda generazione di diritti ad affermarsi fu quella rappresentata dalle libertà nello stato. Solo con l’emergere, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, delle rivendicazioni del proletariato urbano le libertà civili si rafforzarono e iniziò la lenta, ma progressiva affermazione dei diritti di partecipazione alla vita dello stato, i diritti politici: il diritti di voto, il diritto di associazione in partiti e sindacati. I diritti di partecipazione alla vita dello stato nascono grosso modo nello stesso momento dei diritti civili, ma sono chiamati diritti di seconda generazione in quanto la loro estensione a tutti i cittadini è stata lenta nel tempo e si è affermata solo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.
L’affermazione di questa seconda generazione coincise con l’evoluzione dello Stato da liberale a liberal democratico: non è più uno stato monoclasse, ma pluriclasse, contraddistinto dall’emergere del ruolo politico e sociale del proletariato urbano che si organizza nei primi partiti di massa.

III° - Diritti sociali
La terza generazione di diritti ad affermarsi fu quella rappresentata dalle libertà attraverso lo stato. Nella prima metà del Novecento, dopo la Prima guerra mondiale e la crisi economica degli anni Trenta, si reclamò un sempre maggiore intervento statale con il fine di riequilibrare le disparità sociali e rendere accessibili alla collettività intera i diritti sociali: il diritto all’istruzione, il diritto alla salute, il diritto alla previdenza sociale, il diritto al lavoro, il diritto all’abitazione. I cittadini reclamano tutele, diverse da quelle che aveva reclamato a suo tempo la classe borghese.

Il Parlamento si apre a forma di rappresentanza anche dei proletari e delle classi disagiate: viene rivendicata la tutela di alcuni aspetti che prima non venivano tutelati. Si parla di libertà positive, per distinguerle dalle libertà negative: aumentano i compiti dello stato, aumenta il capitale che lo stato deve investire e aumentano le persone che servono a raggiungere questi obiettivi. L’intervento dello stato fonda le sue radici nel New Deal di Roosevelt, con il quale lo stato si autoattribuisce competenze che secondo la Costituzione americana non aveva. La tutela dei diritto sociale è una grande sfida politica, costituzionale ma sopratutto economica.

IV° - Nuovi diritti
La quarta generazione di diritti ad affermarsi riguardano quei nuovi diritti, che ancora sono in via di affermazione. Lo sviluppo culturale, economico e soprattutto tecnologico della società ha portato alla ribalta nuove domande di tutela individuali e collettive. La società non si divide più in chi ha le risorse economiche o i mezzi di produzioni e chi non li ha, ma tra chi ha accesso ai mezzi di informazioni e tecnologia e che no. 
Per indicare le libertà rivendicate più di recente si utilizza l’espressione nuovi diritti. Riguardano soprattutto la dignità dell’uomo in un’eccezione particolarmente ampia che tiene conto delle problematiche legate alla tutela dell’ambiente, all’informazione, alle nuove tecnologie informatiche, alla procreazione artificiale, alla bioetica.
La tecnologia può favorire alcuni aspetti della vita, ma a livello giuridico di diritti può essere pericolosa e lesiva. Si apre, allora, una nuova sfera di diritti da tutelare. Sono diritti nuovi: il costituente non poteva di certo prevedere queste grandi rivoluzioni; di conseguenza i documenti costituzionali necessitano di rinnovarsi e di allungarsi. Anche le biotecnologie hanno bisogno di tutela e regolamentazione. Iniziano ad essere considerati in termini giuridici eventi naturali come la morte, la vita ed elaborazioni giuridiche intorno a questi temi.

Una precisazione terminologica: con l’espressione onnicomprensiva “diritti fondamentali”, si indicano i diritti civili, i diritti politici, i diritti sociali nonché i diritti di ultima generazione, che rappresentano il fondamento stesso dell’assetto costituzionale della Repubblica; mentre con l’espressione “diritti umani si riserva ai diritti che l’ordinamento internazionale, attraverso le Nazioni Unite e altre organizzazioni, si sforza di riconoscere a tutti i popoli e a tutte le persone.

2. LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
Al fine di tutelare i diritti fondamentali sono state utilizzate delle tecniche ce la scienza giuridica aveva elaborato per il diritto di proprietà, diritto per eccellenza rivendicato dalla classe borghese. Oggi ogni diritto fondamentale in quanto tale è diverso dagli altri. Allora, seguendo appunto lo schema tipico del diritto di proprietà, si distinguono:
  • soggetti titolari: i soggetti a cui sono rivolti di questi diritti; spesso i titolari non sono espressamente indicati (in Costituzione sono indicati come “impersonali”); in altri casi è previsto che i titolari siano i cittadini; oppure tutti;
  • oggetto: l’oggetto di tutela (da tenere ben differente dal contenuto)
  • contenuto: gli strumenti con cui viene garantito l'oggetto di tutela (da tenere ben differente dall’oggetto).
La necessità di assicurare a questi diritti una più complessa tutela attraverso specifiche e variegate “istituzioni per la garanzia delle libertà” ha portato alla nascita delle autorità garanti, istituite proprio allo scopo di realizzare più efficaci mezzi di tutela dei diritti dei cittadini.
Sono soggetti di diritto coloro che godono della capacità giuridica, coincidente con l’attitudine a essere titolati di situazioni giuridiche (destinatari di norme giuridiche). Il nostro ordinamento riconosce come soggetti di diritto sia le persone fisiche (gli individui singolarmente presi) sia le persone giuridiche (che raccolgono una pluralità di persone fisiche, o beni, unitariamente riconosciute come titolati di situazioni giuridiche e assimilate dall’ordinamento alle persone fisiche: associazioni, fondazioni, società). In base agli artt. 1 e 2 del codice civile, la capacità giuridica si acquista, per quanto concerne le persone fisiche, al momento della nascita. La capacità giuridica si distingue dalla capacità di agire, cioè di esercitare effettivamente i diritti di cui si è titolari o di assumere obblighi; essa si acquista di norma con la maggiore età e si può perdere al verificarsi di certe condizioni fissate dal codice, ad esempio per l’interdizione.
Ci sono due diversi tipi di situazioni giuridiche:
  • situazioni giuridiche favorevoli: i poteri, i diritti soggettivi, gli interessi legittimi.
  1. Il potere giuridico è una situazione potenziale e astratta che consiste nella possibilità di ottenere determinati effetti giuridici (art. 51 Cost.).
  2. Il diritto soggettivo è una situazione a tutela di un interesse attuale e concreto. Il titolare esercita il diritto soggettivo in via diretta e immediata: l’ordinamento giuridico gli riconosce non solo determinate facoltà, ma anche la pretesa di condizionare il comportamento degli altri soggetti. I diritti si dividono a loro volta in: 
  1. diritti assoluti (il diritto che obbliga tutti i soggetti dell’ordinamento a non intralciarne il godimento (inclusi in essi anche i diritti fondamentali);
  2. diritti relativi (diritti la cui soddisfazione dipende da un comportamento prescritto a un soggetto determinato.
  1. L’interesse legittimo designa una situazione soggettiva di vantaggio il cui titolare gode di poteri strumentali in vista della tutela di un proprio interesse. Mentre chi è portatore di un diritto soggettivo può farlo valere direttamente e immediatamente, chi è portare di un interesse legittimo ha bisogno che esso coincida con uno specifico interesse pubblico.
  • situazioni giuridiche sfavorevoli: gli obblighi, i doveri, le soggezioni.
  1. Gli obblighi sono comportamenti che un soggetto deve tenere per rispettare un diritto altrui.
  2. I doveri sono comportamenti dovuti indipendentemente dall’esistenza di un corrispettivo diritto altrui, in funzione di uno specifico interesse collettivo (in particolare si definiscono doveri costituzionali quelli previsti dalla Costituzione a tutela di un interesse collettivo).
  3. Le soggezioni ovvero la situazione di chi è soggetto a un potere giuridico.

3. CONDIZIONE GIURIDICA DEL CITTADINO E DELLO STRANIERO
Per lo studio dei diritto fondamentali occorre far ricorso al concetto di cittadinanza e alle nozioni di cittadino e straniero.

La condizione giuridica del cittadino
Con la Rivoluzione francese il concetto di cittadino acquistò una nuova valenza: non è cittadino soltanto chi appartiene alla comunità in contrapposizione a chi non vi appartiene, ma piuttosto colui che, aboliti i titoli nobiliari e affermato lo stato di diritto, è, diversamente dal suddito, titolare di diritti civili e politici, nonché di doveri (parallelamente assumer valore giuridico il concetto di popolo).
La tradizionale preferenza accordata al criterio della discendenza per determinare la cittadinanza di un individuo (ius sanguinis) risponde proprio alla volontà di tutelare la coesione etico-culturale di una nazione. Riconoscere la titolarità della cittadinanza, tendenzialmente, a coloro che nascono sul territorio di uno stato (ius soli) risponde a una vocazione a fondare la coesione della comunità sui valori condivisi e ad accogliere e includere nel corpo sociale gli immigrati dall’estero. 
Le modalità per diventare cittadino italiano sono le seguenti:
  • per nascita: è cittadino italiano il figlio di un cittadino italiano, madre o padre (ius sanguinis) e anche chi nasce nel territorio della Repubblica da genitori ignoti, apolidi (senza cittadinanza) o che comunque non possano trasmettere la cittadinanza di un altro paese (ius soli, che ha applicazione solo residuale);
  • per estensione o per trasmissione: è cittadino italiano chi è adottato da un cittadino italiano, ovvero chi da un cittadino è riconosciuto dopo la nascita, e ciò in ragione del valore costituzionale dell’unità della famiglia (ius communicatio); inoltre, può diventare cittadino italiano, sempre per estensione o trasmissione, il coniuge di cittadino che risiede legalmente in Italia, dopo il matrimonio, da almeno due anni.
  • per concessione: può diventare cittadino italiano, se lo richiede, lo straniero che dispone di determinati requisiti: 
  • è legalmente residente da almeno dieci anni; 
  • è cittadino dell’Unione europea ed è residente da almeno quattro anni; 
  • è apolide ed è residente da almeno cinque anni; 
  • è discendente straniero di chi è stato cittadino italiano ed è residente in Italia da 3 anni.
In tali casi la cittadinanza è attribuita su domanda, tramite decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di stato, previo giuramento di fedeltà alla Repubblica e osservanza alla Costituzione e le leggi (naturalizzazione). 
  • per beneficio di legge: colui o colei che è figlio o figlia di un genitore che era cittadino ha però un vero e proprio diritto all’acquisto della cittadinanza, se ha assunto un impiego al servizio dello Stato o se raggiunge la maggiore età in Italia, essendovi legalmente residente da almeno due anni.

 Altre norme sulla cittadinanza italiana sono previste dalla l. 91/1992:
  • è sempre ammessa la doppia cittadinanza, nel senso che una persona può avere, oltre quella italiana, anche la cittadinanza di un altro stato;
  • si perde la cittadinanza per espressa rinuncia in caso di acquisto di un’altra residenza all’estero; la si perde di diritto nel solo caso in cui il cittadino italiano che ha un rapporto di lavoro alle dipendenze di un altro stato ignori l’intimazione del governo italiano a cessarlo;
  • sono previste varie forme di agevolazione al riacquisto della cittadinanza per chi l’ha perduta.

La Costituzione a sua volta stabilisce che:
  • nessun cittadino può essere privato della cittadinanza per motivi politici (art. 22);
  • il cittadino italiano può essere estradato, cioè consegnato a uno stato straniero dove abbia compiuto reato per essere sottoposto alla giustizia di tale paese, solo nelle ipotesi espressamente previste dalle convenzioni internazionali in materia (art. 26). Non è comunque ammessa l’estradizione per reati politici, a meno che non sia commesso un delitto di genocidio. La Corte costituzionale ha inoltre dichiarato illegittima l’estradizione per reati puniti all’estero con la pena di morte (sent. 223/1996). Il cittadino italiano, proprio in quanto tale, è anche cittadino dell’Unione europea.

La condizione giuridica dello straniero
Straniero è colui che non è cittadino italiano e non è apolide; extracomunitario è colui che non è cittadino italiano o di altro stato appartenente all’Unione europea. L’art. 10.2 Cost. stabilisce che “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”. Questa riserva di legge ha trovato attuazione solo a partire dalla metà degli anni Ottanta. La disciplina dell’ingresso, del soggiorno e dell’espulsione dello straniero (apolide compreso) si uniforma alla politica dell’Unione europea in materia, sulla base della Convenzione di attuazione degli Accordi di Schengen del 1990.
Il d.lgs. 25 luglio 1998, n.286 (la legge Napolitano-Turco), modificato dalla legge 189/2002 (legge Bossi-Fini), riconosce:
  • allo straniero, comunque presente nel territorio, dunque indipendentemente da un suo arrivo o presenza irregolare, i diritti fondamentali della persona umana previsti dal diritto interno, dalle convenzioni internazionali e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti (l’ingresso e il soggiorno illegale costituiscono reato: si tratta del reato contravvenzionale di immigrazione clandestina, punito con un’ammenda, che si estingue tuttavia con l’oblazione della stessa, introdotto nel testo unico dalla l. 94/2009);
  • agli stranieri regolarmente soggiornanti (in possesso del permesso di soggiorno per periodi di tempo determinati o della carta di soggiorno che invece consente una permanenza illimitata) i diritti civili riconosciuti al cittadino italiano, nonché il diritto di partecipare alla vita pubblica locale;
  • a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani.
  • allo straniero è garantita parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi. 
La Corte costituzionale ha evocato più volte l’effetto espansivo che deriva dal riconoscimento dei diritti inviolabili ex art. 2 Cost. (sentt. 199/1986 e 10/1993), giungendo ad affermare che lo straniero è titolare di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione riconosce spettanti alla persona (sent. 148/2008). Esiste inoltre un ambito inviolabile della dignità umana, per esempio il diritto alla salute, che deve essere riconosciuto agli stranieri anche se irregolarmente soggiornanti (sent. 269/2010).
Allo straniero che lascia il proprio paese non per motivi lavorativi o di studio, ma perché non può esercitare in modo effettivo le libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, l’art. 10.3 Cost. riconosce il diritti di asilo, inteso come ero e proprio diritto soggettivo. L’Italia tuttavia non si è dotata di una legge di attuazione della norma costituzionale sul diritto di asilo, ne la giurisprudenza ha consolidato un orientamento uniforme in merito al contenuto di tale diritto. 
L’Italia invece apre le sue porte a coloro i quali abbandonano il proprio paese a causa del pericolo di essere perseguitati, ad esempio per il proprio credo religioso o per le proprie opinioni politiche o per il proprio orientamento sessuale: costoro possono chiedere rifugio.
Infine, l’art. 10.4 Cost. permette, in un’ottica di collaborazione tra stati nella repressione di reati comuni, l’estradizione dello straniero tranne che nel caso di reati politici, esclusione che non si applica, in base alla l. cost. 1/1967, se il reato politico è stato di genocidio.
 L’espulsione dello straniero è un atto con cui si allontana il soggetto dal territorio italiano. È prevista:
  1. come conseguenza dell’ingresso o del soggiorno illegale nel territorio nazionale;
  2. a titolo di misura di sicurezza e a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, su ordine del giudice;
  3. per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato, disposta dal ministro dell’interno.
In particolare, l’espulsione dello straniero irregolare è disposta dal prefetto con decreto motivato immediatamente esecutivo, convalidato dal giudice di pace alla presenza di un difensore, contro cui è dato ricorso al tribunale in composizione monocratica. L’espulsione è eseguita dal questore tramite accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Lo straniero irregolare può essere trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione, per un periodo massimo di 18 mesi, con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e pieno rispetto della sua dignità, in attesa dell’accompagnamento alla frontiera.

Altra cosa è il respingimento alla frontiera, disposto dalla polizia di frontiera nei confronti degli stranieri che si presentano privi di requisiti per l’ingresso.

  1. LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DEI DIRITTI E L’ORDINAMENTO ITALIANO
Il Novecento è stato caratterizzato dall'internazionalizzazione della tutela dei diritti umani, attraverso la loro positivizzazione (riconoscimento espresso in atti internazionali) e giurisdizionalizzazione (tutela davanti a tribunali internazionali). Ai trattati ricognitivi di diritti umani si collegano due discusse problematiche:
1. L'azionalibilità dei diritti previsti nell'ordinamento interno.
Ci si chiede se i trattati di diritti umani debbano ritenersi vigenti solo sul piano internazionale, e quindi attivabili solo nei rapporti tra stati per far valere eventuali inadempimenti, o se debbano essere ritenuti direttamente efficaci e di conseguenza suscettibili di tutela giurisdizionale anche nell'ordinamento interno. Posso essere riconosciuti nuovi diritti nell'ordinamento italiano sulla base delle convenzioni internazionali? In merito la Corte di Cassazione ha assunto un atteggiamento oscillante: in alcune decisioni ha escluso radicalmente ogni operatività interna di queste convenzioni, mentre in altre ha distinto tra norme di tipo precettivo, azionabili sul piano interno, e norme più gerarchiche, a ciò idonee. Recentemente ha riconosciuto la prevalenza e la diretta applicabilità nell'ordinamento giuridico dell'art 6 del Cedu nonché dell'interpretazione che della stessa norma dà la Corte europea dei diritti dell'uomo.

2. La posizione delle convenzioni nel sistema delle fonti.
Le convenzioni internazionali sui diritti, essendo recepite nell'ordinamento interno con leggi d'esecuzione, hanno formalmente il rango di una legge ordinaria, per cui in applicazione del criterio cronologico sarebbero abrogabili da leggi successive che dispongano diversamente. Questa è stata la posizione tradizionale della Corte costituzionale che, in più occasioni, aveva ribadito che esse hanno forza di legge ordinaria. Parte delle dottrina ha cercato di sostenere la “copertura costituzionale” quindi la non abrogabilità ad opera di legge ordinarie. Anche la giurisprudenza costituzionale sembrava aver mutato orientamento: nella sent. 10/1993, la Corte affermò che la legge di esecuzione di un trattato relativo alla tutela dei diritti umani è ''fonte riconducibile a una competenza atipica'' e come tale “insuscettibile di abrogazione o di modificazioni da parte di disposizioni di legge ordinaria”. Le norme di esecuzione verrebbero identificate come leggi atipiche, aventi cioè la forza attiva di una legge ordinaria, ma forza passiva rinforzata. Ciò appariva implicitamente confermato dalla sentenza 388/1999 in cui la Corte affermò che le convenzioni internazionali integrano il catalogo costituzionale dei diritti in virtù del collegamento con l'art. 2 Cost.
Questo problema ora ha trovato soluzione nell'art.117.1 Cost. (riformulato nel 2001). Disponendo che la potestà legislativa dello Stato e delle regioni debba essere esercitata nel rispetto nei “vincoli derivanti dagli obblighi internazionali”, questa disposizione pone il problema di identificare in che modo possano tradursi questi vincoli. Sulla questione sono intervenute le sentenze 348 e 349/2007 della Corte costituzionale: queste hanno stabilito, con rifermento alle disposizioni della Cedu come interpretate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, che in virtù dell'art 117.1 le norme convenzionali, purché interpretate in modo coerente con i principi della Costituzione, si impongono  alla legislazione nazionale. La conseguenza è che, in caso di contrasto tra norma interna e norma convenzionale, non risolvibile dal giudice comune per via interpretativa (interpretando la legge in modo conforme alla Cedu),la Corte costituzionale può essere chiamata a pronunciarsi sul punto, arrivando a dichiarare l'illegittimità costituzionale della norma interna per contrasto con  quella convenzionale. Le norme della Cedu funzionano così come norme interposte, grazie al rinvio (rinvio mobile secondo la giurisprudenza costituzionale) a esse rivolte dal primo comma dell'art.117. L'indirizzo inaugurato da queste decisioni (v.poi sentt. 39 e 129/2008 e 317/2009, 93/2010 e altre) riguarda esclusivamente le norme della Cedu: rimane pertanto da chiarire se la stessa conclusione si può estendere ad altri trattati internazionali.

5. IL SISTEMA EUROPEO DI PROTEZIONE DEI DIRITTI
Documento fondamentale per la tutela dei diritti fondamentali è la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu). L'elemento più rilevante della Cedu è il sistema di tutela giurisdizionale davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Questa può essere adita con ricorsi individuali, attivabili da persone fisiche, organizzazioni non governative o da gruppi di privati contro uno stato membro: tali ricorsi possono essere presentati solo dopo che si siano esauriti tutti i rimedi interni allo stato contro il quale di agisce. 
La tutela dei diritti umani è anche oggetto della già ricordata Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Dopo il Trattato di Lisbona la Carta ha acquisito lo stesso valore giuridico dei trattati. Anche prima della proclamazione della Carta, ora espressamente richiamata dall'art.6 Tue, la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione si era assunta il compito di consolidare e ampliare i principi generali del diritto comunitario.

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