CAP. 4 – L’ORDINAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA
1. DALLE COMUNITÀ EUROPEE ALL’UNIONE EUROPEA
L’Unione europea (Ue) nacque il 1° novembre 1993 a seguito dell’entrata in vigore del Trattato sull’Unione europea o Trattato di Maastricht. L’Ue ha una costruzione singolare data sia da un processo di formazione lungo quarant’anni, sia dal fatto che si tratta di un’unione di stati e un’unione di popoli. Tale processo ha inizio nel 1951 con il Trattato di Parigi che istituì la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca) fra Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. La seconda guerra mondiale aveva messo in ginocchio l’Europa: proprio in quegli anni nacque una strategia politica (prima che economica) volta a dare basi solide alla riconciliazione fra Francia e Germania, il cui contrasto era stato alla base delle due guerre mondiali. Per superare l’antagonismo tra i due paesi si decise di mettere in comune le due risorse al tempo più importanti, carbone e acciaio, presenti in massa nelle regioni della Ruhr e in Alsazia, al centro delle dispute tra i due paesi.
La nascita della Ceca fu seguita dalla nascita dell’Euratom (sviluppo coordinato dell’industria nucleare) e della Comunità economica europea (Cee). Ciò avvenne a seguito del Trattato di Roma del 1957 (Tce). Per garantire una maggiore ripresa e sviluppo era necessario adottare politiche economiche che favorissero tutti gli stati. L’obiettivo era quello di creare un mercato economico unico in Europa con l’abbattimento delle dogane (e quindi dei dazi doganali) tra i paesi della comunità europea. Il fatto di permettere la libera circolazione dei cittadini, di merci, capitali e servizi mirava alla creazione di un omogeneo mercato interno che eviti abuso di posizioni dominanti, monopoli, prezzi eccessivi. Per aumentare le relazioni tra gli stati membri il Trattato prevedeva anche che le istituzioni della Comunità fossero dotate di un potere normativo di tipo legislativo. Nel 1965 si arrivò alla totale fusione degli organi istituzionali: le tre Comunità (Ceca, Cee, Euratom) ebbero in comune anche la Commissione e il Consiglio e un unico bilancio, mentre assumeva crescente importanza la Comunità economica, che aveva carattere non settoriale.
Ci sono stati vari elementi che hanno portato l’Unione ad essere come è adesso:
- La Comunità economica si è occupata di sempre più numerose materie e l’ordinamento giuridico derivato dai trattati è cresciuto senza soluzione di continuità (dal 1970 la Comunità dispone di un sistema di risorse proprie che ne garantiscono l’autonomia finanziaria).
- Le istituzioni comunitarie si sono progressivamente rafforzate nel loro complesso (dal 1979 i membri del Parlamento sono direttamente eletti – sono aumentate le decisione che vengono prese dal Consiglio a maggioranza qualificata – nel 1974 è nato un vero e proprio organo di indirizzo politico, il Consiglio europeo);
- La corte di giustizia ha non solo garantito l’applicazione del diritto della Comunità, ma lo ha interpretato sempre più estensivamente;
- La comunità si è allargata e attualmente è composta da 27 stati: Danimarca, Irlanda, Regno Unito (1973); Grecia (1981); Spagna, Portogallo (1986); Austria, Finlandia, Svezia (1995); Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta; Polonia; Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria (2004); Bulgaria e Romania (2007); nel 2011 è stato firmato il trattato di adesione della Croazia. I prossimi candidati sono Islanda, Macedonia, Montenegro, Serbia, Turchia.
Nel 1986 venne firmato l’Atto unico europeo, il quale fissò l’obiettivo del mercato unico interno prima del 1993, rafforzò il ruolo del Parlamento Europeo, aumentò le competenze del Consiglio e introdusse la cooperazione in politica estera. Conseguiti gli obiettivi del 1986, dopo la riunificazione della Germania nel 1992, venne firmato il Trattato di Maastricht che, modificando il trattato della Cee, pose le basi della monete unica (l’euro) e aggiunse un nuovo trattato: il Trattato sull’Unione Europea (Tue). Il Tue diede vita a una struttura organizzativa peculiare, definita nel gergo comunitario “Unione a tre pilastri”:
- le tre comunità (Ce, Ceca, Euratom), disciplinato dai rispettivi trattati;
- la politica estera e di sicurezza comune (disciplinato dal Tue);
- la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (disciplinato dal Tue).
In quel momento si decise (all’interno dell’Unione Europea) che tutto ciò che era compreso nel primo pilastro sarebbe stato gestito secondo le norme del diritto comunitario, mentre tutto ciò che faceva parte degli altri due pilastri sarebbe stato affidato alla cooperazione intergovernativa tra stati e gestito secondo le norme del diritto internazionale.
La struttura dei tre pilastri è stata superata con il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009: è il risultato di un lungo processo di riforma che ha dato vita a un unico soggetto dotato di personalità giuridica internazionale. Il Tue ha mantenuto il suo nome mentre il Tce, modificato, ha assunto il nome di Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue). La cooperazione in materia di polizia e di giustizia penale utilizza ora le procedure del Tfue, mentre la politica estera e di sicurezza comune utilizza procedure specifiche disciplinate dal titolo V del Tue.
Scomparsa la Comunità, risulta superata l’espressione “diritto comunitario”, infatti, è più corretto parlare di “diritto dell’Unione Europea”. Il primo problema è dato dal fatto che per via della lunga fase transitoria alcune delle disposizioni dei trattati precedenti continueranno ad essere applicate; il secondo è che alcuni paesi dell’Unione sono andati avanti rispetto ad altri paesi con politiche di maggiore integrazione; è il caso di quella che viene chiamata “Eurozona”.
2. ALLE ORIGINI DEL TRATTATO DI LISBONA
Nella dichiarazione di Laeken i capi di Stato e di Governo affermarono che l’Unione doveva cambiare se voleva interpretare un ruolo di spicco nel mondo: si doveva rendere le sue istituzioni più efficaci e trasparenti, semplificarle e avvicinarle ai cittadini (l’obiettivo era quello di arrivare a un unico testo costituzionale europeo). Invece di affidare la revisione dei trattati alle sole diplomazie degli stati, si decise di costituire un organo speciale, chiamato Convenzione sul futuro dell’Unione europea, che avesse larga rappresentatività. Questa convenzione fu composta da un rappresentante per ogni governo, due rappresentanti della Commissione, sedici rappresentanti del Parlamento europeo, due rappresentanti per ogni parlamento nazionale (erano presenti anche i rappresentanti dei paesi candidati). La Convenzione concluse i lavori approvando un documento, il Progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa: venne però ratificato da 22 su 25 stati, ma non da Francia e Paesi Bassi, due tra i sei paesi fondatori. La Costituzione per l’Europa dovette essere quindi abbandonata. Per risolvere concretamente i problemi affrontati si arrivò alla firma del Trattato di Lisbona (il processo di ratifica però subì dei ritardi). Ciò che aveva indotto ad avviare il processo di riforma dei trattati ha allontanato una parte dell’opinione pubblica, anche in paesi da sempre europeisti; l’entità, la rapidità dell’allargamento hanno imposto un’accelerazione e un’estensione del processo di integrazione, a cui non tutti i paesi erano pronti. Le esigenze di consolidamento dell’edificio dell’Unione europea hanno così prevalso sulle aspettative di ulteriori progressi; l’approccio pragmatico è stato considerato più utile rispetto alle prospettive federaliste.
L’attuale trattato di Lisbona ha molti tratti uguali al trattato costituzionale, ma l’elemento differente principale è l’abbandono della simbologia federalista da cui era caratterizzato. Il trattato costituzionale sostituiva integralmente tutti i trattati precedenti e aveva un struttura tipica da costituzione: il trattato di Lisbona modifica e non abroga i trattati preesistenti. Il trattato costituzionale dotava l’Unione di un suo apparato simbolico (bandiera, inno, motto, festa) e di un preambolo solenne volto a delineare un’identità comune: nel Trattato di Lisbona è rimasto quasi nulla di tutto ciò.
Il trattato costituzionale inglobava in se, come parte seconda, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione; il Trattato di Lisbona non la riproduce, ma espressamente la riconosce. Il trattato costituzionale proclamava il primato del diritto dell’Unione, cioè la prevalenza delle norme dell’Ue su quelle nazionali; il Trattato di Lisbona tace sul quel primato e abbandona il tentativo di chiamare le cose con il loro vero nome (tentativo fatto dalla Corte costituzionale che voleva denominare con precisione gli atti normativi). Il trattato costituzionale parlava di ministro degli affari esteri dell’Unione; il Trattato di Lisbona attribuisce i medesimi compiti ma lo chiama in maniera differente per non dare l’idea di un super stato europeo (alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza).
La sostanza del trattato costituzionale resta quasi integra, ma ne è cambiata la forma.
3. L’ORGANIZZAZIONE E LE ISTITUZIONI DELL’UNIONE EUROPEA
Le istituzioni dell’Unione europea sono:
1) Il Consiglio europeo, l’organo che compie le scelte non legislative fondamentali;
2) Il Consiglio dei ministri (organo legislativo);
3) Il Parlamento europeo (organo legislativo);
4) La Commissione europea (organo esecutivo, titolare dell’iniziativa legislativa);
5) La Corte di giustizia dell’Unione europea, l’organo giurisdizionale;
6) La Banca Centrale europea, istituzione indipendente che esercita le funzioni di politica monetaria;
7) La Corte dei conti, organo di controllo dell’Unione;
- Il Consiglio europeo (Art. 15 Tue; artt. 235-236 Tfue):
Il Consiglio europeo è composto dai capi di stato o di governo degli stati membri, dal suo presidente e dal presidente della Commissione; vi partecipa anche l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Si riunisce almeno due volte ogni sei mesi a Bruxelles. La rotazione semestrale non è più prevista ma è stata istituita la carica di presidente permanente a tempo pieno senza incarichi nazionali. Viene eletto dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una sola volta. Il Presidente del Consiglio europeo rappresenta all’estero l’Unione; presiede e anima i lavori del Consiglio europeo e ne assicura la continuità: facilita il raggiungimento del consenso e la coesione fra i componenti. Presenta dopo ogni riunione una relazione al Parlamento europeo.
Il Consiglio europeo è l’organo di indirizzo politico dell’Ue: non esercita funzioni legislative e decide per consenso senza votare, salvo che per alcune deliberazioni mediante votazione previste dai trattati, in alcuni casi all’unanimità, in altri a maggioranza qualificata.
- Il Consiglio o Consiglio del ministri (Art. 16 Tue; artt. 237-243 Tfue)
Il Consiglio dei ministri è composto da un rappresentante per ogni stato membro a livello di ministro, autorizzato a impegnare il proprio governo. Si riunisce in composizione diversa a seconda dei temi da trattare con i ministri interessati dei paesi. Due formazioni sono direttamente previste dal Tfue: il Consiglio “affari generali” composto dai ministri degli esteri o degli affari europei, e il Consiglio “affari esteri”, composto dai ministri degli esteri. Le altre formazioni stabilite sono otto, una è il Consiglio Ecofin, composto dai ministri economici e finanziari. All’interno dell’Ecofin è costituito l’Eurogruppo, organo che si riunisce a titolo informale, composto dai ministri dei diciassette stati membri che hanno adottato l’euro, con un suo presidente in carica per due anni e mezzo. Il Consiglio affari esteri è presieduto dall’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, si avvale del servizio europeo per l’azione esterna. La presidenza delle altre formazioni del Consiglio è invece affidata a turno ai rappresentanti di ciascuno stato membro per un periodo di sei mesi.
Il Consiglio:
- esercita, insieme al Parlamento europeo, la funzione legislativa e la funzione di bilancio;
- definisce e coordina le politiche dell’Unione;
- garantisce il coordinamento e la sorveglianza delle politiche economiche, adottando indirizzi di massima; raccomanda le necessarie misure in caso di disavanzo eccessivo: se lo stato interessato non provvede, può intimargli di farlo ed eventualmente sanzionarlo;
- prende le decisioni relative alla politica estera e di sicurezza comune; decide sulle questioni aventi implicazioni militari, ad esempio l’invio di missioni all’estero;
La regola decisionale ordinaria è la maggioranza qualificata (a meno che i trattati non impongano diversamente): questa si ottiene con il 55% degli stati membri (attualmente 15 su 27) i quali rappresentino anche almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Non è ammesso che soli tre stati blocchino le decisioni, anche se la loro popolazione supera il 35%: questo è fatto per impedire che tre dei quattro grandi stati (Germania, Francia, Italia e Regno Unito) blocchino il processo decisionale. Sono necessari almeno quattro stati (minoranza di blocco). Questo però a partire dal novembre 2014. Fino ad allora si seguono le regole del Trattato di Nizza. A ogni stato membro è assegnato un voto ponderato, in parte rispettoso della diversa dimensione degli stati: il Consiglio decide validamente con 225 voti sul totale di 345; ma se la proposta di deliberazione non è della Commissione, occorre anche che si esprimano a favore i due terzi degli stati membri (18 su 27). Ogni votante può chiedere di verificare se la maggioranza qualificata corrisponda al 62% della popolazione: in caso contrario, la decisione non è adottata. Il Consiglio decide all’unanimità solo quando previsto dai trattati. Quando il consiglio discute e vita progetti di atti legislativi, le sue sedute sono pubbliche: ogni sessione è divisa in due parti, quella pubblica e quella non pubblica. Le riunioni sono preparate da un comitato costituito dai rappresentanti permanenti degli stati membri: il Co.re.per. (Art. 240.1 Tfue).
- Il Parlamento europeo (Art. 14 Tue; artt. 223-234 Tfue)
Il Parlamento europeo è composto da 754 membri, fino a giugno 2014. Dalla prossima legislatura sarà stabilito con decisione del Consiglio europeo entro un tetto massimo di 751, garantendo la rappresentanza dei cittadini dei singoli stati in modo degressivamente proporzionale rispetto alla loro popolazione, con un minimo di 6 seggi e un massimo di 96. I membri del Parlamento europeo sono eletti per 5 anni direttamente dai cittadini dell’Unione. Ciascuno stato membro ha, infatti, la sua legge elettorale poiché una legge elettorale uniforme, anche se prevista dal Tfue, non esiste ancora.
Il Parlamento europeo è organizzato secondo il modello delle moderne assemblee rappresentative: i suoi membri si ripartono in gruppi politici, composti da non meno di 25 deputati eletti in almeno un quarto degli stati; questi gruppi in gran parte corrispondono alle famiglie politiche del continente (partito popolare europeo, partito del socialismo europeo, liberali democratici e riformatori verdi, sinistra unitaria europea). Essi lavorano suddivisi in venti commissioni. Il parlamento europeo ha il proprio regolamento (approvato a maggioranza dei componenti) e di norma delibera a maggioranza dei voti espressi. La sua attività si divide tra Strasburgo (sede ufficiale dove si svolgono le sedute plenarie), Bruxelles (dove si riuniscono alcune sessioni dell’assemblea e le commissioni), Lussemburgo (dove sono segretariato e uffici).
Il Parlamento europeo:
- esercita congiuntamente al consiglio la funzione legislativa; non ha l’iniziativa (se non previo richiesta alla Commissione); per l’adozione degli atti si applica nella maggior parte dei casi la procedura legislativa ordinaria che mette oggi Parlamento e Consiglio su un piano di parità;
- esercita con il Consiglio la funzione di bilancio;
- esercita funzioni di controllo politico e funzioni consultive; elegge il presidente della Commissione e ha il potere do obbligare alle dimissioni collettive i membri della Commissione; può istituire commissioni d’inchiesta; può rivolgere interrogazioni sia alla Commissione sia al Consiglio; può formulare raccomandazioni sulla politica estera e di sicurezza comune al Consiglio e all’alto rappresentante e viene regolarmente consultato da quest’ultimo (Art. 36 Tue); elegge il Mediatore europeo, orfano che ha funzioni di difensore civico, al quale chiunque può rivolgersi per denunciare casi di cattiva amministrazione.
- La Commissione (Art. 17 Tue; artt. 244-250 Tfue)
La Commissione è composta da 27 membri (uno per stato), incluso il presidente e l’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza; dura in carica cinque anni. E’ il consiglio europeo che sceglie a maggioranza qualificata il presidente della Commissione, il quale viene eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei membri; successivamente, il Consiglio europeo, individua i componenti della Commissione in base alle proposte dagli stati: l’intera Commissione, incluso l’alto rappresentante, è sottoposta all’approvazione del Parlamento europeo e nominata, infine, dal Consiglio europeo. Il Parlamento può approvare una mozione di censura; se ciò accade, l’intera commissione e l’alto rappresentante si dimettono. La Commissione esercita i suoi compiti nel quadro degli ordinamenti del presidente, il quale decide l’organizzazione interna e ripartisce le competenze fra i componenti; può obbligare alle dimissioni un qualsiasi suo componente; l’alto rappresentante è uno dei vicepresidenti. La sede della Commissione è Palazzo Berlaymont a Bruxelles; ha uffici di rappresentanza in tutti gli stati membri.
La Commissione è l’organo che promuove l’interesse generale dell’Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine. Essa agisce infatti in piena indipendenza con l’espresso per i suoi membri di sollecitare o accettare istruzioni da alcun governo.
La Commissione:
- ha l’iniziativa degli atti legislativi (che spetta alla Commissione e a nessun altro organo); dispone di poteri normativi delegati e di esecuzione;
- presenta il progetto annuale di bilancio e gli da esecuzione;
- vigila sull’applicazione del diritto dell’Unione europea (è il custode dei trattati): se uno stato membro non adempie ai suoi obblighi, la Commissione può intervenire, prima con una mora, poi facendo ricorso alla Corte di giustizia mediante la procedura d’infrazione: può altresì ricorrere alla Corte di giustizia nell’ambito della procedura di controllo degli aiuti di stato concessi dagli stati membri a determinate imprese;
- ha il potere di rivolgere avvertimenti agli stati membri ai fini del coordinamento delle politiche economiche; sorveglia la situazione di bilancio in ciascuno stato e può proporre al Consiglio di iniziare una procedura per disavanzo eccessivo.
- La Corte di giustizia (Art.19 Tue; artt. 251-281 Tfue)
La Corte di giustizia è composta da 27 giudici, assistiti da almeno 8 avvocati generali che studiano le cause e sottopongono alla Corte le loro proposte di conclusione. Sono tutti nominati dai governi per 6 anni fra personalità di indiscussa indipendenza e competenza; i giudici eleggono al proprio interno il presidente. La Corte ha un proprio statuto e un proprio regolamento: ha sede a Lussemburgo e il compito è quello di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati. Giudica le controversie tra:
- stati membri;
- l’Unione e uno stato membro;
- fra istituzioni dell’Unione
- persone fisiche o giuridiche e l’Unione
In particolare si tratta dei ricorsi per inadempimento contro le infrazioni compiute dagli stati membri e dei ricorsi di annullamento contro gli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione in violazione dei trattati. Importante è la competenza in via pregiudiziale: la Corte di giustizia si pronuncia in via pregiudiziale, prima che le norme dell’Unione trovino applicazione in processo, ogni volta che una questione di interpretazione dei trattati e degli atti delle istituzioni sia sollevata davanti al tribunale di uno stato membro e il tribunale ritenga necessaria una decisione della Corte di giustizia. Questo per assicurare l’uniforme interpretazione del diritto comunitario, facendo della corte di giustizia una specie di corte di cassazione della Comunità europea. Alla corte di giustizia si affianca il Tribunale, competente per le azioni intraprese da persone fisiche o giuridiche, nonché per le controversie fra l’Unione e i primi funzionari. Il suo ruolo è meno rilevante proprio perché alla base c’era l’idea di sgravare la Corte da una parte di lavoro “minore”. Anch’esso è composto di un giudice per ogni stato membro. Le sue decisioni sono impugnabili davanti alla Corte solo per motivi di legittimità.
- La Banca centra europea (artt. 127-133, 282-284, protocollo numero 4 Tfue)
La Banca centrale europea (Bce) è dotata di personalità giuridica propria e di un elevato grado di indipendenza rispetto alle altre istituzioni e ai governi, dai quali non può accettare o ricevere istruzioni; a essa sono attribuiti anche poteri normativi e ha sede a Francoforte. Il presidente della Bce è nominato per 8 anni, senza possibilità di rielezione, dal consiglio europeo a maggioranza qualificata, insieme agli altri 5 membri del comitato esecutivo. La Bce ha un ruolo fondamentale poiché dispone del diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Bce e le banche centrali nazionali costituiscono il Sistema europeo di banche centrali e l’Eurosistema, il cui compito principale è assicurare il mantenimento della stabilità dei prezzi, nonché sostenere le politiche economiche generali dell’Unione. La Bce non può essere considerata una vera e propria banca centrale, non essendo prestatore di ultima istanza rispetto ai debiti sovrani e avendo poteri limitati in ordine alla vigilanza sulle banche.
- La Corte dei conti (Artt. 285-287 Tfue)
La Corte dei conti è composta da 27 membri nominati per 6 anni dal consiglio. La sua funzione è assicurare il controllo dei conti, attraverso l’esame delle entrate e delle spese dell’Unione e di ogni organo da essa istituito; di esse controlla la legittimità e la regolarità e accerta la sana gestione finanziaria.
Sono infine previsti due organi consultivi che assistono Parlamento europeo, Consiglio e Commissione:
- il Comitato economico e sociale, composto di rappresentanti delle categorie economiche e produttive;
- il Comitato delle regioni, composto di rappresentanti degli enti regionali e locali, i loro membri, fino a 350, sono nominati dal Consiglio.
- FOCUS 4.1: La Corte di giustizia e l’espansione del diritto comunitario
La Corte ha contribuito a “costituzionalizzare” i trattati istitutivi e a gettare le basi per un ordinamento giuridico che si sovrappone a quelli degli stati membri. I trattati formano la “la carta costituzionale di una comunità di diritto”. Attraverso la sua giurisprudenza essa ha sviluppato una serie di principi tipici di un ordinamento costituzionale, che successivamente sono stati codificati negli stessi trattati. Fra questi:
- la tutela dei diritti fondamentali;
- il riconoscimento di poteri impliciti: la Corte attribuì alle istituzioni comunitarie l’esercizio di poteri impliciti, non espressamente conferiti, e in particolare la competenza a concludere accordi internazionali nei settori nei quali la comunità godeva di una competenza normativa interna;
- il bilanciamento istituzionale: l’ordinamento comunitario si caratterizza per l’esistenza di un principio di separazione dei poteri, tale per cui nessuna istituzione può alterare il bilanciamento istituzionale disegnato dai trattati.
Secondo la Corte di giustizia i trattati hanno dato vita a un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli stati hanno rinunciato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani e al quale sono soggetti non soltanto stati membri, ma anche i loro cittadini. Essa pose così le basi per uno sviluppo di tipo (quasi) federale. A tal riguardo vanno ricordati:
- il principio dell’effetto diretto: la Corte ha stabilito che le norme dei trattati hanno efficacia diretta, ovvero non si limitano a imporre obblighi agli stati, ma attribuiscono anche diritti ai singoli;
- il principio del primato del diritto comunitario: in caso di conflitto tra una normativa nazionale e un normativa comunitaria, quest’ultima prevale, quale che sia il rango delle norme nazionali nel sistema delle fonti, posto che ciò è necessario a garantire l’uniforme applicazione del diritto comunitario, così come interpretato dalla corte stessa;
- il vincolo dell’interpretazione conforme: la Corte ha affermato che i giudici nazionali hanno l’obbligo di interpretare il diritto nazionale in conformità al diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte stessa;
- il principio della responsabilità dello Stato: la Corte ha affermato che uno stato membro che non provveda ad attuare una direttiva comunitaria nel proprio ordinamento interno è civilmente responsabile per i danni da esso arrecati.
4. IL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA
L’ordinamento dell’Ue si fonda prima di tutto sui trattati che costituiscono le fonti originarie del diritto dell’Unione sul complesso di norme adottate sulla base degli stessi trattati dalle istituzioni dell’Unione: queste sono le fonti derivate, che devono essere compatibili coi trattati sia sotto il profilo formale che sotto il profilo sostanziale. Tutto ciò costituisce il sistema delle fonti dell’Unione.
4.1 Fonti originarie dell’Unione: i trattati
Ad oggi il Tue consta di soli 55 articoli (suddivisi in VI titoli) mentre il Tfue di 358 articoli (suddivisi in 7 parti per un totale di XXXIV titoli). Valori, principi e obiettivi dell’Unione si trovano in entrambi i trattati. I principali sono:
- il rispetto della dignità umana, la libertà, democrazia, stato di diritto e diritti umani, compresi quelli delle minoranze;
- la pace e il benessere fra i popoli; uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, nel quale sia assicurata la circolazione delle persone e il controllo delle frontiere esterne; un mercato interno; lo sviluppo sostenibile, basato su una crescita economica equilibrata, stabilità dei prezzi, economia sociale di mercato fortemente competitiva, piena occupazione, tutela dell’ambiente, progresso scientifico e tecnologico; lotta contro l’esclusione sociale; coesione economica, sociale e territoriale; rispetto delle diversità delle culture e linguistiche; unione economica e monetaria;
- il rispetto dell’uguaglianza degli stati membri e della loro identità nazionale e il principio di leale collaborazione;
- i principi di attribuzione, di sussidiarietà, di proporzionalità;
- il riconoscimento dei diritti, delle libertà e principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e l’adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo;
- l’uguaglianza dei cittadini e comune cittadinanza dell’Unione;
- il buon funzionamento dell’Unione e delle sue istituzioni, fondato sulla democrazia rappresentativa, la partecipazione di cittadini e di partiti, la trasparenza, il concorso dei parlamenti nazionali.
Particolare attenzione è stata data al principio di attribuzione, che riguarda il riparto di competenze tra l’Unione e stati membri. L’Unione esercita competenze solo che gli stati le hanno attribuito coi trattati. Le competenze attribuite, in base all’Art. 2 Tfue possono essere:
- competenze esclusive: nei settori quali solo l’Unione può legiferare;
- competenze concorrenti: nei settori nei quali entrambi possono legiferare, ma gli stati solo se l’Unione non lo ha fatto o ha deciso di cessare di farlo;
- competenze di sostegno, coordinamento o completamento: delle azioni degli stati, nei settori nei quali l’Unione non ha competenza prevalente.
L’Unione esercita le competenze che le spettano applicando i principi:
- di sussidiarietà: significa che l’Unione interviene solo se e in quanto i suoi obiettivi non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli stati e possono essere meglio conseguiti dall’Unione.
- di proporzionalità: significa che l’azione dell’Unione non deve andare al di là di quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo (se un obiettivo non può essere conseguito dallo stato membro allora, e solo allora, l’Unione può intervenire – allo stesso modo però se l’Unione non può fare meglio dello stato membro, deve astenersi dal farlo).
La cittadinanza europea si aggiunge a quella nazionale ed è riconosciuta di diritto a tutti i cittadini di uno stato membro. La cittadinanza europea conferisce il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri (sono però ammesse limitazioni). Viene riconosciuto l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni comunali ed europee nello stato in cui si risiede; il diritto alla tutela da parte delle autorità diplomatiche di un qualsiasi stato membro quando quello di cui è cittadino non ha rappresentanza; il diritto di presentare petizioni al Parlamento, di ricorrere al Mediatore europeo, di rivolgersi alle istituzioni dell’Unione e avere risposta.
È previsto anche il diritto di iniziativa dei cittadini dell’Unione: consiste nella richieste alla Commissione, da parte di almeno un milione di cittadini che appartengano a una pluralità di stati nella quale si chiede una decisione dell’Unione.
Ai trattati quali fonti originarie va aggiunta la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea alla quale è riconosciuto lo stesso valore giuridico dei trattati: contiene 54 articoli e un ampio e aggiornato catalogo di diritti. Nella Carta è abbandonata la distinzione fra diritti civili e politici da una parte e diritti economici e sociali dall’altra. I diritti sono raggruppati in questo modo:
- la dignità della persona;
- le libertà;
- l’uguaglianza;
- la solidarietà;
- la cittadinanza;
- la giustizia.
Tutti i diritti, ad eccezione di quelli direttamente connessi con la cittadinanza europea, sono riconosciuti a ogni persona senza distinzione alcuna (anche per gli extracomunitari).
Ciò di cui l’Unione si occupa e come lo fa è disciplinato nel Tfue: è la terza parte del Tfue ad indicare le politiche dell’Unione e le sue azioni interne. Fa eccezione la competenza in materia di politica estera e di sicurezza comune (Pesc): essa è soggetta alle norme e alle procedure specifiche del Tue.
A partire dal Trattato di Lisbona sono ricomprese alcune competenze nuove, che prima erano affidate alla cooperazione intergovernativa degli stati, quali la cooperazione giudiziaria in materia penale e la cooperazione di polizia, la prevenzione e la lotta contro il terrorismo e le forme più gravi di criminalità aventi dimensione transnazionale, il riavvicinamento delle norme penali, l’attività svolta dall’ufficio europeo di polizia (Europol) e dall’unità di cooperazione giudiziaria (Eurojust). È inoltre prevista l’istituzione di una procura europea, competente per perseguire davanti agli organi giurisdizionali degli stati membri gli autori di reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione ed eventualmente di altri reati. I trattati prevedono la possibilità di instaurare una cooperazione rafforzata fra gli stati membri, con la partecipazione di non meno di nove stati, strumento che serve a permettere a una parte degli stati forme di integrazione maggiore rispetto agli altri determinati settori di non esclusiva competenza dell’Unione.
Per quanto riguarda la revisione dei trattati, l’Art. 48 del Tue, prevede una procedura ordinaria e anche procedure semplificate.La prima attribuisce a qualsiasi stato, al Parlamento europeo e alla Commissione l’iniziativa, da presentare al Consiglio che a sua volta la trasmette al Consiglio europeo (questo si pronuncia a maggioranza semplice, sentiti Parlamento e Commissione, poi convoca una convenzione, formata da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di stato e di governo, del Parlamento europeo e della Commissione). La convenzione non vota ma adotta per consenso una raccomandazione che sottopone a una conferenza dei rappresentanti dei governi degli stati membri. La conferenza intergovernativa si pronuncia come qualsiasi conferenza internazionale (all’unanimità).
Se le modifiche proposte riguardano esclusivamente la parte terza del Tfue, possibile una procedura semplice, che evita sia la convenzione sia la conferenza intergovernativa. Ma il Consiglio deve esprimersi all'unanimità e gli stati devono comunque tutti approvare la revisione.
- FOCUS 4.2: La cittadinanza europea come “status fondamentale”?
Argomentando che “lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli sta membri, la Corte di giustizia ha progressivamente valorizzato la dimensione civile, politica e sociale della cittadinanza europea.
Il cittadino europeo ha diritto a essere processato nella sua lingua in uno stato membro diverso dal suo; ha diritto a non essere discriminato nell’esercizio del diritto di voto per il Parlamento; ha diritto ad accedere alla prestazioni familiari assicurate ai cittadini dello stato in cui risiede; gli è riconosciuto il diritto di soggiorno anche al genitore extracomunitario di un minore cittadino dell’Unione.
Esistono però anche alcuni ostacoli normativi, in particolare il suo status derivato, cioè dipendente dal possesso della cittadinanza di uno sta membro. L’Unione non è quindi in grado di stabilire direttamente i criteri per l’acquisto della cittadinanza europea, spettando agli stati membri stabilire chi sia anche cittadino europeo. La Corte di giustizia si è anzi ritenuta priva del potere di sindacare la compatibilità con il diritto dell’Unione della decisione adottato da uno stato membro di revocare la cittadinanza a un cittadino naturalizzato, sebbene l’effetto fosse di privare l’interessato anche della cittadinanza europea.
4.2 Fonti derivate dell’Unione
Gli strumenti giuridici che le istituzione dell’Unione utilizzano per esercitare le loro competenze sono disciplinati nel titolo I della parte sesta del Tfue. Gli atti giuridici dell’Unione, sono ciò che nel loro complesso costituiscono il diritto derivato dell’Unione. Gli atti giuridici dell’Unione, elencati dall’Art. 288 Tfue, sono:
- I regolamenti
“Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.”
I regolamenti sono vere e proprie leggi dell’Unione; atti normativi di portata generale obbligatori in tutti i loro elementi, direttamente applicabili in tutti gli stati membri. Possono avere come destinatari: persone fisiche o giuridiche, soggetti pubblici o privati. Non vi è alcuna necessità di recepimento: i giudici nazionali li applicano direttamente, anche al posto delle norme interne incompatibili. Il regolamento vincola i destinatari in tutti i suoi elementi cioè prevede prescrizioni in tutti i suoi aspetti che sono tutte parimenti vincolanti, non ci sono norme di principio, aspirazioni o vaghe norme generali. In ogni stato membro, non appena il regolamento entra in vigore, in quella data tutti gli stati membri dell’Unione devono applicare il regolamento senza bisogno di ratifica (aspetto presente fin dal trattato di Roma del 1957).
- Le direttive
“La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi.”
Le direttive sono atti che vincolano uno o più, nella maggior parte tutti gli stati membri in vista di un risultato che deve essere raggiunto, entro un certo termine, facendo ricorso agli strumenti giuridici di diritto interno più opportuni e adatti allo scopo: quel che conta (negli interessi dell’Unione) è il risultato. Lo stato assume un obbligo di adempiere in modo analogo a quanto accade per l’adattamento agli obblighi di diritto internazionale. In Italia il procedimento viene recepito attraverso legge ordinaria del parlamento o attraverso un decreto legislativo o con un atto avente forza di legge. Se la direttiva non viene attuata lo Stato incappa in sanzioni, stabilite dalla direttiva stessa: lo Stato può essere deferito davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
La giurisprudenza della Corte di giustizia ha stabilito che in determinate circostanze sono direttamente efficaci. Si parla di:
- direttive auto applicative: sono quelle direttive che pongono obiettivi, termini e qualora lo stato non rispetti il termine, entra un adempimento automatico che va a colmare quello degli stati che non hanno adempito in via autonoma;
- direttive dettagliate: sono quelle direttive che oltre a prevedere scadenze e termini, descrivono anche le modalità di adempimento da parte degli stati.
- Le decisioni
“La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Se designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi.”
Le decisioni hanno come destinatari sia persone fisiche e giuridiche sia stati membri: possono avere o non avere portata generale; nel secondo caso disciplinano casi concreti e sono rivolte a destinatari specificamente individuati. Se rivolte a uno stato membro sono soggette alle medesime condizioni di diretta efficacia delle direttive.
4. Le raccomandazioni e i pareri
“Le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti”
Le raccomandazioni e i pareri hanno valenza di indirizzo politico e non fanno sorgere diritti ne obblighi nei destinatari. In altre parole non sono vincolanti.
Gli atti giuridici dell’Unione si distinguono in diversi tipi:
- gli atti legislativi sono tutti quelli, siano essi regolamenti, direttive o decisioni, adottati mediante procedura legislativa;
- gli atti delegati sono atti di portata generale che un atto legislativo può delegare la Commissione ad adottare per integrare o modificare proprie elementi non essenziali, previa delimitazione di obiettivi, contenuto, portata e durata della delega;
- gli atti di esecuzione i quali pure devono essere previsti da un atto legislativo quando la necessità di condizioni esecutive uniformi suggerisce che non siano gli stati (come di norma) ad adottare tutte le misure necessarie per l’attuazione degli atti dell’Unione, ma sia la Commissione, previa determinazione delle modalità di controllo sulla Commissione da parte degli stati in ordine all’esercizio di tali competenze di esecuzione.
4.3 Altre fonti dell’Unione
L’ordinamento dell’Ue conosce anche fonti non scritte: i principi generali del diritto dell’Unione, fra i quali emergono i diritti fondamentali garantiti dalla Cedu e risultanti dalle tradizioni costituzionali dei comuni agli stati membri. Inoltre, l’Unione può concludere accordi internazionali con paesi terzi o organizzazioni internazionali: tali accordi vincolano l’Unione e gli stati membri.
4.4 Il procedimento di formazione del diritto derivato dall’Unione
Ai fini della formazione (adozione nel caso dei trattati) degli atti giuridici prima trattati, il Tfue prevede:
- una vera e propria procedura legislativa ordinaria, che si fonda sulla competenza legislativa paritaria di Parlamento e Consiglio, sempre su proposta della Commissione;
- alcune procedure legislative speciali, che attribuiscono a seconda dei casi una certa prevalenza al Parlamento o al Consiglio.
La procedura legislativa ordinaria, descritta dall’Art. 294 Tfue, prevede il seguente iter;
- presentazione da parte della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio di una proposta;
- prima lettura da parte del Parlamento e trasmissione al Consiglio;
- prima lettura da parte del Consiglio, con approvazione dello stesso testo trasmesso dal Parlamento e adozione dell’atto oppure approvazione con emendamenti e trasmissione al Parlamento; il Consiglio deve motivare e la Commissione illustra la sua posizione al Parlamento;
- seconda lettura da parte del Parlamento, entro tre mesi: se il Parlamento approva il testo del Consiglio o se non si pronuncia, l’atto è adottato nella versione del Consiglio; se il Parlamento lo respinge, l’iter dell’atto proposto si interrompe; se il Parlamento approva emendamenti a maggioranza dei suoi componenti, il testo torna al Consiglio, e anche in questo caso la Commissione illustra la sua posizione;
- seconda lettura da parte del Consiglio, entro tre mesi: se il Consiglio approva gli emendamenti del Parlamento, a maggioranza qualificata (ma all’unanimità se la Commissione si era espressa contro), il testo è adottato; se no li approva, viene convocato un comitato di conciliazione;
- conciliazione da parte di un comitato paritetico Consiglio-Parlamento; ai suoi lavori partecipa la Commissione con compiti di mediazione; il comitato di conciliazione deve raggiungere un accordo su un progetto comune entro sei settimane; se non lo fa, l’atto non è adottato;
- se il comitato di conciliazione ha approvato un progetto comune, terza lettura da parte del Parlamento e del Consiglio, i quali hanno altre sei settimane per pronunciarsi sul testo dell’accordo senza ulteriori modifiche (a maggioranza semplice del Parlamento, a maggioranza qualificata del Consiglio); in mancanza di una decisione, l’atto non è adottato.
Le procedure legislative speciali sono indicate nei trattati via via: prevedono che l’atto sia adottato dal Consiglio previa consultazione oppure previa approvazione del Parlamento europeo. Il Tue consente al Consiglio europeo di disporre (all’unanimità e con l’approvazione del Parlamento europeo) che, là dove i trattati prevedono l’unanimità del Consiglio, questo possa invece decidere a maggioranza qualificata (con esclusione delle decisioni nel settore della difesa). Può anche disporre che per l’adozione di atti legislativi, invece di una procedura speciale si applichi quella ordinaria. In entrambi i casi tutto ciò è possibile solo alla condizione che, entro sei mesi, un qualsiasi parlamento nazionale non notifichi la sua opposizione.
Gli atti legislativi sono firmati dal Presidente del Parlamento europeo e dal Presidente del Consiglio e sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, nelle 23 lingue ufficiali dell’unione. Essi entrano in vigore alla data stabilita dall’atto stesso o, in mancanza, il ventesimo giorno dalla pubblicazione.
5. ORDINAMENTO DELL’UNIONE E ORDINAMENTO ITALIANO (RINVIO)
L’Italia ha sempre fatto parte della Comunità fino dalle origini e quindi si è impegnata a contrarre degli obblighi: le misure per l’adozione comportano limitazione delle proprie competenze, in casi estremi si è arrivati alla totale solo competenza dell’Unione. I trattati e la giurisprudenza della Corte di giustizia stabiliscono che non solo lo Stato, ma tutte le persone fisiche e giuridiche siano diretti destinatari del diritto dell’Unione, che determina nei confronti di esse situazioni giuridiche di vantaggio (diritti) e di svantaggi (obblighi).
Le istituzioni dell’Unione adottano anche decisioni rivolte a soggetti italiani (pubblici e privati) specificatamente individuati: per esempio quando lo Stato ha rinunciato competenze date all’Unione e in questo caso la disciplina dell’Unione prevale sul diritto interno.
6. L’UNIONE E IL SUO PECULIARE ORDINAMENTO
Caratteristiche dell’ordinamento dell’Unione europea:
- L’Unione si fonda sui trattati, cioè su atti di diritto internazionale, che hanno durata limitata;
- Anche se gli stati membri hanno accantonato ogni riferimento a una costituzione, la Corte di giustizia, già dal 1999, aveva affermato che il Trattato “benché sia stato concluso in forma di accordo internazionale, costituisce la carta costituzionale di una comunità di diritto”, e come tale essa tende a interpretarlo (la Carta assomiglia a un compiuto sistema delle fonti;
- I trattati danno vita a un complesso diritto derivato, sicché l’ordinamento dell’Unione possiede autonomi meccanismi per la produzione di norme; queste hanno come destinatari tutti i soggetti degli stati membri, a partire dai giudici che le applichino direttamente; il suo unico interprete legittimo è la Corte di giustizia dell’Unione; il diritto dell’Unione prevale sul diritto dei singoli stati;
- Esiste una cittadinanza europea;
- Si sta sviluppando un sistema partitico europeo, disciplinato da norme dell’Unione, che hanno l’obiettivo di far diventare le elezioni al Parlamento europeo una competizione tra partiti europei, e non nazionali;
- Gli organi legislativi dell’Unione, da una parte rappresentano i governi degli stati (Consiglio), dall’altra i cittadini e i popoli dell’Unione (Parlamento europeo);
- Vi sono organi (Commissione, Corte di giustizia, Bce, Corte dei conti) che hanno l’obbligo giuridico di agire nel solo interesse dell’Unione e non possono accettare, tanto meno sollecitare, istruzione dai singoli governi;
- Importanti ambiti decisionali sono tuttora soggetti a decisioni prese all’unanimità, ma tutto il resto è soggetto a decisioni prese a maggioranza, sia pur qualificata; dal 2014 la maggioranza sarà calcolata non solo sulla base del numero degli stati pro o contro, ma anche sulla base del numero dei cittadini che essi rappresentano;
- L’Unione gode di autonomia finanziaria (il suo bilancio è finanziato integralmente tramite risorse proprie e non da contributi dagli stati membri);
- E’ prevista una procedura che può sfociare nella sospensione dei diritti di uno stato membro in caso di violazione dei valori fondamentali dell’Unione;
- L’Unione infine è aperta all’adesione di altri stati europei purché rispettosi dei suoi stessi valori; l’ammissione è deliberata dagli organi dell’Unione; è anche possibile un forma di recesso da parte di uno Stato attraverso procedimenti regolati dall’Ordinamento dell’Unione.
L’Unione è stata chiamata in diversi modi nel corso dell’evoluzione:
- comunità sovranazionale, quando c’era il sistema dei tre pilastri (un diritto pubblico a cavallo tra diritto interno e internazionale);
- ordinamento pre-federativo, a seguito del superamento della fase dei tre pilastri:
- federazione di stati nazione, in tempi recenti, per sottolineare la conciliazione tra gli sviluppi in senso federalista e il mantenimento delle identità nazionali.
All’Unione mancano alcuni elementi, in quanto
- governa su un territorio non proprio;
- non ha una competenza delle competenze;
- non è adottata di un apparato in grado di esercitare un potere coercitivo sugli stati e anzi deve fare uso delle autorità degli stati;
- non ha un proprio potere impositivo;
- l’insieme dei suoi cittadini non è considerabile come un unico popolo.
7. L’UNIONE DAVANTI ALLA CRISI FINANZIARIA
La crisi finanziaria globale esplosa nel 2008 ha coinvolto in particolare i paesi con il debito più elevato in rapporto al prodotto interno lordo e con il tasso di crescita più basso. Un fatto rilevante è che la moneta unica euro è stata introdotta in assenza di istituzioni politiche in grado di imporre una comune politica di bilancio. Alla Bce è stato affidato solo il compito di fissare l’ammontare di moneta da mettere in circolazione, togliendo questo potere alle banche nazionali. Gli stati non hanno potuto fare ricorso al metodo della maggiore stampa di carta moneta, producendo inflazione ma aumentando il Pil nominale e riducendo di conseguenza il debito. La crisi nell’Eurozona è scoppiata a causa della Grecia, parsa vicina a dichiarare il default, con il rischio di danneggiare le banche a cui avevano chiesto prestiti e di contagiare altri paesi fortemente indebitati.
La crisi ha provocato una rinnovata tensione fra la tendenza degli stati a non cedere ulteriori poteri e l’opposta esigenza di un più stretto coordinamento delle politiche economiche e finanziarie, oltre che creare forti tensioni tra paesi creditori e paesi debitori. Gli stati dell’Eurozona hanno dovuto fare ricorso a sempre più massicci interventi di sostegno ai paesi in difficoltà. Prima si è cercato di risolvere con soluzioni provvisorie (il fondo europeo di stabilità finanziaria, il fondo salva stati con acronimo Efsf) poi con soluzioni permanenti (Trattato che sostituisce il meccanismo europeo di stabilità, il fondo salva stati con acronimo Esm).
Il meccanismo europeo di stabilità potrà concedere prestiti e acquistare titoli di debito pubblico, ma solo a condizioni severe. Si è pervenuti a una complessiva riforma, a seguito di trattati, della governance economica europea, dapprima con un pacchetto di misure legislative entrate in vigore nel novembre 2011, allo scopo di assicurare maggior sorveglianza, criteri più stringenti e sanzioni più rapide e automatiche nei confronti di quegli stati che, non ottemperando a vincoli di politica finanziaria dell’Unione, ne mettano a repentaglio la stabilità. Nello stesso tempo è stata istituita una procedura di valutazione ex ante in sede europea dei bilanci e dei patti di stabilità dei singoli paesi. Successivamente fu adottato un nuovo patto, il cosiddetto fiscal compact, per obbligare gli stati a perseguire il pareggio di bilancio, impegnandoli a introdurre tale vincolo nel proprio ordinamento interno con norma di valore costituzionale e obbligarli quindi a impegnativi percorsi sia di correzione dei disavanzi eccessivi sia di rientro dai debiti superiori al 60% del Pil. Questa crisi ha evidenziato come ci sia un’Unione a due velocità, con una marcata differenziazione, anche come livello di integrazione, fra i paesi della zona euro e gli altri paesi Ue.
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