CAP. 16 - IL SISTEMA GIUDIZIARIO
- LA GIURISDIZIONE E IL COSTITUZIONALISMO LIBERALDEMOCRATICO
Per garantire l’armonia e la pace interna di un gruppo sociale, è sempre stata prevista la presenza di giudici: figure preposte appunto al compito di garantire l’osservanza delle regole della convivenza sociale. Una moderna concezione dell’esercizio della giurisprudenza si è affacciata solo a partire dalla formazione degli stati assoluti nel corso del XVI e XVII secolo, quando l’unificazione territoriale e politica di Francia, Inghilterra e Spagna portò, come conseguenza, alla concentrazione del potere di governo nelle mani del monarca e al tentativo di costruire un’unica giurisdizione (iurisdictio). In quest’opera di concentrazione organi di vertice affiancarono il re nel ruolo di giudice supremo delle questioni più rilevanti e, successivamente, si diffusero sul territorio come corti permanenti.
Fu soprattutto a seguito di questo fenomeno che si pose con forza il problema di limitare il potere assoluto del re e garantire i diritti inviolabili degli individui, anche attraverso il rafforzamento dell’indipendenza e della terzietà dei giudici.
In Inghilterra la tradizionale supremazia regia in campo giurisdizionale trovò un limite con l’affermarsi nella prassi giudiziaria di un diritto non scritto (la common law), basato sulla giurisprudenza, il quale si radicò su tutto il territorio. Già a partire dall’Act of Settlement (1701), venne stabilita la garanzia dell’inamovibilità dei giudici. La possibilità per il sovrano di rimuoverli dall’incarico era prevista solo in caso di violazione dei doveri d’ufficio (quam diu se bene gesserint). La formula fu poi dalla Costituzione degli Stati Uniti che parla di inamovibilità dei giudici during good behaviour.
Anche in Francia le corti giudiziarie cercarono di sottrarsi al controllo del re ed ebbero drammatici scontri con la corona nel corso del XVIII secolo. Solo con la Costituzione del 1791 si giunse ad affermare le prime garanzie: essa stabilì che i giudici potessero essere destituiti solo in caso di “prevaricazione debitamente giudicata”
Risalgono a questo periodo le prime teorizzazioni della separazione dei poteri, in base dalle quali la necessità di un’equilibrata e giusta gestione del potere di governo avrebbe dovuto spingere alla separazione tra le diverse funzioni, quella legislativa, quella esecutiva e quella giudiziaria. Tali principi trovano successivamente una loro affermazione in altri ordinamenti, grazie alla diffusione degli ideali del costituzionalismo dovuta soprattutto alle due grandi rivoluzioni di fine Settecento, quella americana e quella francese. In realtà la dipendenza della funzione giurisdizionale alla funzione esecutiva non era ancora scomparsa: lo Statuto albertino del 1848 stabiliva che la giustizia era emanata dal Re ed amministrata in suo nume dai giudici che egli istituiva.
Lo sviluppo della funzione giurisdizionale prese direzioni diverse in Inghilterra (e negli ordinamenti di common law) e nell’Europa continentale patria del diritto scritto (ordinamenti di civil law). Nei primi si consolidò una selezione di tipo sostanzialmente professionale degli appartenenti al potere giudiziario, chiamati non solo ad applicare, ma a dare vita alla norma giuridica; nei secondi, invece, a partire dall’epoca napoleonica, gli appartenenti al potere giudiziario vennero inseriti tra i funzionari pubblici, furono organizzati gerarchicamente e posti sostanzialmente alle dipendenze del governo, secondo un’ottica burocratica, che era figlia della concezione del giudice come meccanico applicatore della legge (giudice è bouche de la loi, chiamato a dichiarare quanto essa dettava).
Il problema della piena indipendenza della magistratura (sia interna, cioè di ciascun magistrato in relazione ai magistrati superiori, sia esterna, cioè nei confronti di altri poteri), si cominciò a porre dalla fine dell’Ottocento e si è riproposto con forza dopo la Seconda guerra mondiale.
2. LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE
Una definizione complessiva della funzione giurisdizionale deve conciliare due prospettive essenziali di essa:
- il profilo soggettivo: si individua l’esercizio della funzione giurisdizionale ogni qual volta determinate attività sono attribuite alla competenza degli appartenenti al corpo giudiziario;
- il profilo oggettivo: si dà rilevanza al fatto che l’attività svolta si caratterizza perché oggettivamente giurisdizionale, a prescindere quindi dal fatto che chi decida appartenga al corpo giudiziario oppure no.
- “Funzione giurisdizionale”: funzione statale diretta all’applicazione della legge, attivata su impulso delle parti, per risolvere un conflitto o una controversia, esercitata ad opera di un soggetto terzo, vincolato solo alla legge, nel rispetto del principio del contraddittorio tra le parti, della pubblicità del procedimento e della motivazione delle decisioni.
Il giudice deve essere quindi:
- passivo: non promuove l’azione, altrimenti non potrebbe essere terzo;
- terzo: non sarebbe altrimenti accettato dalla parti;
- vincolato solo dalla legge: non deve ricevere istruzioni su come giudicare né dettare lui stesso il parametro in base al quale decidere;
- rispettare il contraddittorio: ciascuna della parti possa farsi sentire dal giudice in parità;
- rispettare la pubblicità del processo, a garanzia delle sua correttezza;
- motivare la sentenza per consentire forme di controllo successive.
A seconda del tipo di giurisdizione, diversi sono nome e ruolo delle parti in causa con riferimento al soggetto che inizia l’azione e a quello che la subisce o la contrasta:
- processo civile: attore e convenuto
- processo penale: pubblico ministero (che rappresenta la potestà punitiva dello Stato) e imputato
- processo amministrativo: ricorrente e resistente (nel quale a resistere è la pubblica amministrazione.
Le differenze della funzioni giurisdizionale rispetto:
a) alla funzione legislativa, il cui compito è creare le disposizioni legislative, e la cui espressione tipica è la legge;
b) alla funzione esecutivo-amministrativa, il cui compito è dare esecuzione a norme di legge, ma non in posizione di terzietà ne con la specifica finalità di risolvere una controversia, bensì con lo scopo più generale di perseguire i pubblici interessi, attraverso l’adozione di atti e provvedimenti amministrativi.
Tipica espressione dell’esercizio della funzione giurisdizionale, invece, è la sentenza.
- “Sentenza”: atto processuale del giudice con il quale questi risolve la questione sottoposta alla sua attenzione.
Mentre si chiamano ordinanza e decreto gli atti del giudice che non definiscono il procedimento, ma ne regolano lo sviluppo).
La definizione consente di:
- includere anche tutte quelle attività che hanno natura oggettiva giurisdizionale, ma sono svolte da organi amministrativi appartenenti al potere legislativo;
- escludere invece quei compiti, di natura amministrativa, affidati dalla legge al corpo giudiziario.
- L’ORGANIZZAZIONE GIUDIZIARIA DELLA GIURISDIZIONE ORDINARIA
Secondo l’art. 102 Cost. “la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario”. I giudici ordinari hanno una giurisdizione generale in materia civile e penale, e rappresentano la gran parte dei magistrati attualmente in servizio. L’organizzazione della giustizia ordinaria ha una dimensione orizzontale, di diffusione sul territorio nazionale (attraverso distretti giudiziari nei quali è ripartita), e una verticale, interna ad ogni singolo ufficio territoriale nonché tra gli uffici di un determinato distretto (giudici di primo grado e giudici di secondo grado). Al vertice è posta la Corte di cassazione, con sede a Roma, giudice collegiale di legittimità, articolato in diverse sezioni civili e penali (la giurisdizione ordinaria si articola in 29 distretti giudiziari, i quali fanno capo ad altrettante corti d’appello).
Per le cause in materia civile sono previsti:
- il giudice di pace, che decide da solo (giudice monocratico) e ha una competenza limitata a cause “minori”; le sue sentenze sono impugnano presso il tribunale;
- il tribunale il quale, a seconda dei casi, può decidere in composizione monocratica o collegiale (collegio formato da tre giudici); le sue sentenze si impugnano presso la corte d’appello;
- la corte d’appello, giudice collegiale (tre giudici) di secondo grado.
Per procedimenti in materia penale sono previsti:
- il giudice di pace, ma solo per reati minori, le cui decisioni sono appellabili presso il tribunale;
- il tribunale, giudice di primo grado (in composizione monocratica o collegiale secondo il tipo di reato); le sue decisioni sono appellabili presso la corte d’appello;
- la corte d’appello, giudice collegiale di secondo grado.
Per i reati più gravi a tribunali e corti d’appello si affianca la corte d’assise, le cui decisioni possono essere appellate in secondo grado presso la corte d’assise d’appello. Si tratta di organi collegiali, caratterizzati dal fatto che a fianco di due giudici di carriera siedono 6 giudici popolari. La distribuzione del lavoro tra i diversi giudici è attuata in base al criterio della competenza.
La possibilità di ricorso in cassazione contro le sentenze di appello si limita alle sole questioni di legittimità: quelle che attengono al rispetto della legge e delle norme di procedura che disciplinano lo svolgimento del processo.
Tra le funzioni della Corte di cassazione, fondamentale è quella di assicurare l’uniforme interpretazione della legge (funzione nomofilattica). Può disporre l’annullamento della sentenza, rinviando al giudice di merito in modo che questo possa ripetere il processo anche solo in parte, applicando l’interpretazione corretta individuata dalla Corte di cassazione.
Accanto ai magistrati con funzioni giudicanti, di cui si è detto fin qua, si collocano i magistrati con funzioni requirenti. Sono questi i magistrati del pubblico ministero (p.m.), concentrati in uffici istituiti presso i corrispondenti uffici giudicanti: presso ogni tribunale, vi è una procura della Repubblica; presso ogni corte d’appello, vi è una procura generale della Repubblica, infine, la procura generale presso la Corte di cassazione.
I magistrati di questi uffici, che non sono quindi giudici, appartengono nel nostro ordinamento allo stesso corpo dei magistrati con funzioni giudicanti. Tuttavia, con la riforma dell’ordinamento giudiziario, sono state inserite alcune condizione per il passaggio dello stesso magistrato da funzioni giudicanti a funzioni requirenti: può avvenire solo quattro volte in carriera, dopo almeno cinque anni di servizio; deve inoltre cambiare sede.
Il compito dei magistrati con funzioni requirenti non è quello di giudicare una controversia, ma perseguire l’interesse generale della giustizia. Perciò i pubblici ministeri svolgono attività di stimolo rispetto a un giudizio in corso: in particolare, nel campo della giustizia penale, hanno l’obbligo di esercitare l’azione penale, e svolgono le indagini sulle notizie di reato per mezzo della polizia giudiziaria. Rappresentano la pubblica accusa: nel processo sono dunque una parte, e non partecipano alla passività e alla terzietà.
La giurisdizione a competenza generale non è altro che una trasposizione, sul piano dell’organizzazione giudiziaria, del principio secondo il quale tutti sono uguali davanti alla legge e, perciò, anche davanti agli uffici che la dichiarano (art. 3.1 Cost.). Per questo l’art. 102.2 Cost. fa divieto di istituire giudici straordinari, cioè giudici creati dopo l’accadimento del fatto da giudicare, o giudici speciali, cioè giudici con competenze ritagliate in base agli interessati o alle materie in questioni. Questo principio si ricollega a quello dell’art. 25 Cost. in base al quale “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per la legge”: cioè l’ufficio giudiziario individuato dalla legge sulla base di criteri (le regole sulla competenza) determinati prima che la controversia insorga o prima che sia compiuto il reato. Ciò non esclude, come prevede lo stesso art. 102.2, la possibilità di istituire sezioni specializzate per materia, all’interno degli uffici della giurisdizione ordinaria, per una migliore organizzazione del carico di lavoro.
4. LE GIURISDIZIONI SPECIALI
È la stessa Costituzione a prevedere alcune giurisdizioni speciali:
- La giurisdizione amministrativa
I giudici amministrativi storicamente hanno competenza per le controversie che vedono coinvolta la pubblica amministrazione: hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. È la legge a definire il rapporto della competenze per materia fra giudici amministrativi e giudici ordinari. Con la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si ha che i tribunali amministrativi si occupano sia della tutela degli interessi legittimi di colui che fa ricorso al giudice sia della tutela dei suoi diritti soggettivi, con la possibilità, fra l’altro, di disporre il risarcimento del danno ingiusto eventualmente determinato da responsabilità della pubblica amministrazione.
Quanto all’organizzazione territoriale, sono previsti Tribunali amministrativi regionali (Tar), a volte articolati in sezioni distaccate all’interno della stessa regione; questi sono giudici collegiali competenti in primo grado, le cui sentenze sono appellabili presso il Consiglio di stato, organi centrale della giustizia amministrativa, con sede a Roma, articolato in sezioni.
- La giurisdizione contabile
I giudici contabili hanno una giurisdizione riservata in materia di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge. Giudicano sulla responsabilità amministrativa e contabile di amministratori, impiegati e tesorieri delle amministrazioni pubbliche. Sono inoltre devoluti alla loro competenza i giudici in materia di pensioni. La Corte dei conti si articola in sezioni giurisdizionali regionali, in ogni regione competenti in primo grado, le cui decisioni possono essere appellate alle sezioni giurisdizionali centrali, competenti in secondo grado con sede a Roma; altre sezioni svolgono invece funzioni di controllo.
- La giurisdizione militare
I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace, invece, hanno giurisdizione soltanto per reati militari commessi dagli appartenenti alle Forze armate.
- La giurisdizione tributaria
Non previsti dalla Costituzione ma dalla legislazione ordinaria, gli organi della giustizia tributaria hanno il compito di risolvere le controversie fra i contribuenti e gli organi, statali, regionali e locali preposti alla imposizione o riscossione dei tributi di ogni genere e specie comunque denominati. Si articolano in commissioni tributarie provinciali, di primo grado, e commissioni tributarie regionali, competenti in appello, composte da magistrati ordinari e da magistrati onorari.
Garante dell’ordinato svolgersi di tutte le attribuzioni delle diverse giurisdizioni è la Corte di cassazione. Ad essa spetta infatti da un lato dirimere i conflitti di competenza tra i diversi giudici ordinari e dall’altro i conflitti di giurisdizione tra giudici ordinari e giudici speciali.
5. L’AUTONOMIA E L’INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA
Secondo l’art. 104.1 Cost. “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Questo principio è rafforzato dall’ulteriore garanzia in base alla quale “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Essi “si distinguono fra loro solo per diversità di funzioni”.
Con tali affermazioni si ribadisce all’interno dell’ordinamento costituzionale il principio della separazione dei poteri e della necessaria indipendenza dell’autorità giudiziaria dagli altri poteri dello Stato, specialmente dal potere esecutivo.
Ad ulteriore conferma della volontà di evitare ogni possibile condizionamento politico, è previsto che i magistrati siano nominati solo dopo il superamento di un concorso pubblico, che garantisca imparzialità e un grado tendenzialmente elevato di selezione tecnica.
La nomina diretta di magistrati onorari, non inseriti cioè nella carriera burocratica giudiziaria e non legati da un rapporto di pubblico impiego con lo Stato, è prevista ed è disciplinata dalla legge. Sono magistrati onorari i giudici di pace. È inoltre prevista la possibilità di nominare come consiglieri di cassazione, per meriti insigni professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni d’esercizio della professione alle spalle.
La Costituzione prevede poi la partecipazione attiva dei cittadini all’attività giudiziaria. Oggi prevista solo all’interno delle corti d’assise e delle corti d’assise d’appello, composte anche da singoli cittadini in veste di giurati: essa si spiega alla luce del fatto che alla corte d’assise spetta la competenza a giudicare dei crimini più gravi, causa di particolare riprovazione sociale, circostanza che si vuole sottolineare attraverso il coinvolgimento delle giurie popolari.
L’autonomia dei magistrati è rafforzata dalla garanzia della loro inamovibilità: essi non possono essere dispensati o sospesi dal servizio ne destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso.
Inoltre, sono assai ridotte le possibilità di incidenza del ministro della giustizia: il ministro ha la facoltà di promuovere l’azione disciplinare e una competenza generale in materia di organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.
L’indipendenza della magistratura va però considerata sotto due profili:
- profilo esterno; con riguardo all’indipendenza esterna rilevano le osservazioni appena fatte: dimostrano che il costituente ha voluto garantire una notevole autonomia del potere giudiziario da indebite interferenze di altri poteri.
- profilo interno; sotto il profilo dell’indipendenza interna rilevano invece i rapporti tra i magistrati all’interno dello stesso ordine giudiziario.
Una posizione particolare è quella dei magistrati appartenenti agli uffici del pubblico ministero. La Costituzione prevede che siano stabilite apposite garanzie di indipendenza. La fondamentale garanzia di indipendenza propria dei magistrati requirenti rappresenta il contraltare della previsione costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale (eguale persecuzione di tutti i reati, da chiunque commessi, di cui il pubblico ministero sia venuto a conoscenza). Particolari condizioni di indipendenza sono assicurate anche agli appartenenti alle giurisdizioni speciali (giudici amministrativi, contabili e militari), in considerazione della possibile contiguità con il potere esecutivo.
6. IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
Il Consiglio superiore della magistratura (Csm) è l’organo cui l’art. 105 Cost. affida il compito di occuparsi delle assunzioni, delle assegnazioni, dei trasferimenti, delle promozioni e dei provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati ordinari. Il Csm ha una composizione mista:
- 3 componenti di diritto: il presidente della Repubblica, che lo presiede, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale presso la stessa;
- componenti elettivi: 2/3 (chiamati membri togati) sono eletti da tutti i magistrati ordinari, ripartiti in categorie;
- componenti elettivi: 1/3 (chiamati membri laici) sono eletti invece dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari in materie giuridiche e avvocati con almeno quindici anni di professione, con maggioranza sempre qualificata.
Fermo restando gli equilibri tra le due componenti elettive, è la legge a stabilire il numero dei componenti elettivi (essi sono attualmente 24), la durata in carica (4 anni), il sistema elettorale e le norme di funzionamento dell'organo.
Il Csm elegge tra i membri eletti del Parlamento, un vicepresidente, il quale esercita le attribuzioni affidategli dalla legge e tute quelle che il presidente della Repubblica gli delega. Il Csm opera attraverso commissioni, che si occupano di specifiche competenze, tra le quali assumono un ruolo particolarmente importante le commissioni per il conferimento degli incarichi direttivi e la sezione disciplinare.
La composizione del Csm serve da un lato a garantire l’autonomia del potere giudiziaria, dall’altro ad evitare che si possa creare una vera e propria corporazione di magistrati. Al presidente spetta decretare lo scioglimento del Consiglio, sentito anche il parere dei presidenti delle Camere qualora ne sia impossibile il funzionamento.
L’art. 105 Cost. affida al Csm la gestione delle carriere e dello stato giuridico dei magistrati fissati dalla legge. Si occupa dei concorsi in vista delle assunzioni, delle assegnazioni di ufficio e sede, delle promozioni e delle sanzioni disciplinari. Tali attribuzioni devono coordinarsi coi poteri del ministro della giustizia, il quale è competente in materia di organizzazione e funzionamento dei servizi giudiziari.
Il ministro possiede un sostanziale potere di richiesta in relazione ai provvedimenti del Csm in materia di carriera e stato giuridico dei magistrati, ma la competenza ad adottare i relativi provvedimenti spetta esclusivamente al Csm. Nel conferimenti di incarichi direttiva, l’apposita deve procedere di concerto al ministro (ci deve essere una leale collaborazione, ma se non è trovato il compromesso il Csm può procedere da solo).
In base alla l. 195/1958, il Csm da pareri al ministro sui disegni di legge concernenti l’ordinamento giudiziario. Questa disposizione può essere interpretata in due modi diversi: nel senso che il Csm possa prendere un’autonoma iniziativa esprimendosi su testi di legge in discussione in sede di governo o parlamentare oppure nel senso che il Csm possa esprimere pareri solo se richiesti dal ministro.
Quanto alla sezione disciplinare la sua funzione è quella di decidere l’eventuale interrogazione delle sanzioni previste dalla legge nei confronti dei singoli magistrati giudicati responsabili di comportamenti contrari ai doveri d’ufficio, o comunque non consoni alla loro appartenenza all’ordine giudiziario. La procedura può scaturire sulla base di una richiesta del ministro della giustizia o del procuratore generale presso la Corte di cassazione, cui spetta il potere di promuovere l’azione disciplinare, obbligatoriamente secondo la riforma del 2005, la quale ha altresì provveduto a individuare puntualmente gli illeciti disciplinari in cui il magistrato può incorrere nell’esercizio delle sue funzioni e anche al di fuori di esse.
L’assetto delineato dalla Costituzione per la magistratura ordinaria ha rappresentato un modello per assicurare l’autonomia e l’indipendenza delle giurisdizioni speciali. Sono così istituiti:
- il consiglio di presidenza della giustizia amministrativa (l. 186/1982);
- il consiglio di presidenza della Corte dei conti (l. 117/1988);
- il consiglio della magistratura militare (l. 561/1988);
- il consiglio di presidenza della giustizia tributaria (d. lgs. 545/1992).
7. I PRINCIPI COSTITUZIONALI DEL PROCESSO
Il processo consta nel concreto svolgersi dell’attività giudiziaria e mira a due finalità principali:
- la tutela delle situazioni giuridiche soggettive dei cittadini;
- il perseguimento dei responsabili di comportamenti delittuosi, pur nel rispetto dei diritti fondamentali della persona.
Improntato a tali finalità è innanzitutto l’art. 24 Cost., il quale stabilisce che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi e garantisce al contempo ai non abbienti, con appositi istituti i mezzi per agire a difendersi davanti ad ogni giurisdizione: è questo il fondamento del gratuito patrocinio che consiste appunto nell’assistenza legale a carico dello Stato per coloro che non possono permettersela Per quanto invece riguarda la garanzia del diritto di difesa, la Corte costituzionale ha ribadito con forza non solo l’inviolabilità del diritto in questione, ma la sua irrinunciabilità. In questo quadro si colloca anche il principio del giudice naturale precostituito per legge, secondo la quale nessuno può esservi distolto, proprio per garantire appieno la tutela giurisdizionale dei diritti del cittadino.
L’art. 111 della Costituzione riforma con l. cost. 2/1999 contiene i principi del giusto processo. Viene specificato che ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale e che il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova.
L’art. 111 riconosce inoltre alla persona accusata di un reato alcuni diritti fondamentali:
- essere informato dei capi di accusa a sua carico;
- disporre del tempo e delle condizioni necessari per la predisposizione della difesa;
- interrogare i testimoni a sua carico e sua difesa, alle stesse condizioni dell’accusa, e ad acquisire ogni mezzo di prova a sua favore;
- essere assistito da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata nel processo.
La legge deve assicurare tali diritti e deve altresì assicurare la ragionevole durata dei procedimenti giudiziari, affinché processi troppo lunghi non si trasformino di fatto in denegata giustizia.
Un altro strumento di garanzia è l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, previsto dall’art. 111.6 Cost. È la motivazione stessa del giudice che permette di controllare il ragionamento giuridico che sta alla base della decisione: e dunque di contestarla, eventualmente, attraverso il ricorso ad altro giudice di secondo grado (con l’impugnazione).
L’importanza della motivazione è determinata infatti dall’esistenza nel nostro sistema giudiziario di un doppio grado di giudizio che prevede quasi sempre la possibilità di sottoporre a un giudice diverso appunto di secondo grado la medesima questione già risolta dal giudice di primo grado. Ad ulteriore garanzia è stabilita come si è già visto la possibilità di ricorso alla Corte di cassazione, ma per soli motivi di legittimità. Considerando la particolare rilevanza del processo penale, è in quest’ottica che vanno interpretati i principi sanciti nella prima parte della Costituzione, di cui si è parlato in precedenza: il principio dell’irretroattività delle norme penali; il principio della responsabilità penale personale; la presunzione di non colpevolezza.
8. LA RESPONSABILITÀ DEI MAGISTRATI
L’autonomia e l’indipendenza della magistratura non può portare alla creazione di un corpo di magistrati irresponsabile e dotato di una sfera di sostanziale immunità. Il nostro ordinamento prevede varie forme di responsabilità dei magistrati.
Essendo legati da un rapporto di pubblico impiego con lo Stato, anche gli appartenenti all’ordine giudiziario hanno, innanzitutto, una responsabilità di tipo disciplinare per quanto attiene la loro condotta professionale e le eventuali violazioni dei doveri derivanti dal loro ufficio. Da un lato essa serve garantisce per il buon andamento d’ufficio, dall’altra per l’immagine della pubblica amministrazione, che altrimenti ne risulterebbe lesa.
Anche se non formalmente ricompreso tra le sanzioni di natura disciplinare, può giocare un ruolo in certa misura analogo il potere del Csm di trasferire un magistrato per incompatibilità ambientale. Un provvedimento del genere è previsto quando i magistrati per qualsiasi causa anche indipendente da loro colpa, non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità. Una situazione che sconsiglia di far proseguire l’esercizio delle funzioni da parte di un singolo magistrato di una determinata sede.
Diverso il caso delle altre forme di responsabilità giuridica da parte di magistrati; mentre dal punto di vista civilistico, la questione della loro responsabilità in relazione a danni ingiusti eventualmente provocati in violazione dei diritti dei singoli si pone in termini più complessi. La materia è regolata dalla l. 117/1988, varata dopo un referendum popolare che abrogò la normativa preesistente allo scopo di accrescere la responsabilità dei magistrati. Tale disciplina si applica a tutti i magistrati, non solo a quelli ordinari. Essa prevede de che chiunque abbia subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni.
Ci si domanda se vi possano essere anche forme di responsabilità politica in relazione all’esercizio della funzione giurisdizionale: se sia cioè possibile sindacare dal punto di vista dell’opportunità e quindi non sotto il profilo della legge. L’unica forma di responsabilità in senso lato politica cui i magistrati possono essere sottoposti è la responsabilità politica diffusa, e cioè il potere di critica riconosciuto all’opinione pubblica in relazione alla condotta di chi ricopre pubbliche funzioni, non essendo prevista, per ovvi motivi di indipendenza, una sede istituzionale di controllo dell’opportunità politica delle decisioni dei singoli magistrati. Ciò spiega alla luce del disegno costituzionale, che vuole i magistrati estranei, nell’esercizio delle funzioni, ad ogni considerazione o attività di tipo politico e soggetti soltanto alla legge.
9. LA RIFORMA DELL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO
Nel luglio 2005 per iniziativa del governo di centro-destra, il Parlamento approvò un’ampia riforma dell’ordinamento giudiziario con la quale furono modificate molte disposizioni del r.d. 12/1941 e del r.d.l. 511/1946 attraverso il conferimento di una pluralità di deleghe al governo.
La gerarchizzazione all’interno delle procedure è risultata non eliminata ma attenuata; il ruolo del Csm è tornato (dopo l’intervento del governo di centro-sinistra) centrale e non certo ridimensionato, con particolare riferimento alla gestione e al ruolo della scuola superiore per la formazione dei nuovi magistrati.
Nel disegno costituzionale, l’estraneità del magistrato alla politica dei partiti è un valore di particolare rilievo, che mira a salvaguardare l’indipendente esercizio delle funzioni. L’ordinamento giudiziario vigente sembra essersi assestato su un equilibrio normativo, certamente molto complesso e particolarmente contorto, che in qualche modo si pone a metà strada fra quello che era in vigore prima della riforma del 2005 e quello che tale riforma aveva cercato di delineare.
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