giovedì 5 settembre 2013

CAP. 13 - IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA


CAP. 13 - IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA

  1. ALLE ORIGINI DEI MODERNI ESECUTIVI
Secondo la tradizionale ripartizione dei poteri, il potere esecutivo spetta al governo; anzi il governo è il potere esecutivo. In effetti, il concetto può essere usato sia in senso oggettivo, cioè con riferimento alla funzione esecutiva, sia in senso soggettivo, cioè con riferimento all’organo o agli organi cui tale attività è affidata. La funzione esecutiva si chiama così perché consiste nel porre in essere attività immediate, cioè concrete ed effettive in attuazione di scelte più generali e di indirizzo. Secondo il costituzionalismo moderno fra Sette e Ottocento, la legge del parlamento aveva proprio nel governo il suo primo e immediato destinatario. I ministri de re e l’intera sua amministrazione dovevano agire secondo la legge, nei limiti di esse, rispettandolo; ma anche in attuazione necessaria di essa, ovvero “eseguendola”.
Potere esecutivo voleva e vuol dire, quindi, anche amministrazione: di quella statale il governo è, appunto, il vertice. Amministrare significa tradire continuativamente in decisioni puntuali e aventi ben individuati, le scelte, che di regola sono generali e astratte, del legislatore.
In sintesi si può dire che la funzione esecutiva comprende un'ampia pluralità di attività riconducibili alle scelte di fondo espresse sia in forma legislativa sia in forma non legislativa, sia da parte del parlamento sia da parte del governo. Il governo costituisce l’organo che più di ogni altro promuove, elabora, mette a punto e realizza le politiche pubbliche (i programmi di azione che un’autorità pubblica progetta e cerca di attuare per perseguire i fini che essa stessa o altra autorità ha selezionato). 

La progressiva attribuzione della funzione esecutiva ad un organo ad hoc, si registra in Inghilterra a cominciare dalla prima metà del Seicento, quando accanto al re si afferma un gruppo composto da un ristretto numero di suoi personali stabili collaboratori, che vanno a costituire il consiglio privato della corona. Nel corso del secolo successivo si registrano due fenomeni decisivi: 1) si afferma la figura del primo ministro, colui che si pone come tramite permanente e privilegiato tra i membri del governo e il re; 2) si afferma progressivamente una certa autonomia del governo rispetto al re ed una conseguente apertura al parlamento. Tale processo culminerà alla metà dell’Ottocento quando i rapporti tra re, primo ministro, governo, parlamento e corpo elettorale assumeranno caratteristiche simili a quelle di oggi.
Sul continente europeo, in ritardo rispetto alla Gran Bretagna, i governi, stretti fra parlamento e monarca, faticarono non poco ad affermarsi come effettivo vertice dell’amministrazione pubblica e organi costituzionali autonomi, distinti dal re. Questo fu in particolare il caso del Regno di Sardegna e dell’Italia unitaria: il presidente del Consiglio non fu considerato altro che un primus inter pares, continuamente distratto dall’esigenza di assicurare a sé e al suo governo le condizioni minime di sopravvivenza all’interno delle assemblee rappresentative. L’avvento dei partiti politici organizzati, uniti da un collante ideale e da un progetto di governo, cambiò progressivamente le cose.
Dappertutto il secolo XX fu caratterizzato da una tendenza al rafforzamento degli esecutivi: 1) a partire dalla Grande Guerra che portò a un forte concentrazione di potere a vantaggio dei governi, esaltando le tendenze dirigistiche; 2) il suffragio universale fece giungere alle istituzioni rappresentative la voce di tutti gli strati sociali; 3) la Grande Depressione degli anni Trenta. 
Gli Stati Uniti sperimentarono per la prima volta l’intervento massiccio nell’economi, l’Europa continentale si rivelò in gran parte incapaci di coniugare rafforzamento dell’esecutivo e democrazia, e batté la scorciatoia autoritaria. In questa chiave si può leggere il fascismo in Italia, nelle cui strategie istituzionali, accanto a scelte brutalmente autoritarie, si ritrovano scelte che saranno poi riprese e che appunto volevano rispondere ad una domanda di governo più efficace (preminenza del presidente del Consiglio, potere di decretazione d’urgenza del governo, la prima disciplina organica della potestà regolamentare, istituzione di enti pubblici con finalità economiche e industriali).
Dal 1948, con la vigenza di un’altra costituzione, il problema della funzionalità del governo in Italia si è trascinato fino ai giorni nostri, per ragioni giuridiche, ma soprattutto per ragioni politiche. Alla Costituente non si ritenne di porre le basi giuridiche per un serio rafforzamento dell’esecutivo, e molto si confidò nella capacità del sistema partitico di fare da supporto efficace al governo del paese. Sta di fatto che il governo italiano ha avuto per decenni nel rapporto fiduciario col Parlamento (per esattezza con i vari partiti) il punto di maggior debolezza.
In Italia come altrove, da sempre l’esecutivo non è affatto meramente tale. Le sue funzioni vanno molto al di là della semplice attuazione ed esecuzione del comando legislativo. Il governo concorre all’esercizio della funzione legislativa in posizione privilegiata, non solo perché è uno dei titolari dell’iniziativa, ma perché di fatto la gran parte delle leggi approvate sono quelle che esso presenta e asseconda in Parlamento. Insomma, sempre di più il governo esercita funzioni di coordinamento generale e di indirizzo politico, sempre di più il rapporto fiduciarie che lo lega alle Camere va inteso come assenso all’indirizzo che esso propone. In ciò il governo è stato indiscutibilmente rafforzato dalla trasformazione in direzione bipolare del sistema politico e da leggi elettorali congegnate in modo da assicurare il formarsi tendenzialmente sicuro di maggioranze di legislatura.
Inoltre, il governo è anche il vertice dell’apparato amministrativo statale: ogni braca dell’amministrazione statale ha al suo vertice un ministro ai cui indirizzi settoriali risponde. In questo quadro il governo esercita il suo potere normativo regolamentare.

  1. IL GOVERNO ITALIANO: ORGANIZZAZIONI E FUNZIONI
Il governo è un organo complesso che a sua volta è costituito da altri organi. Lo afferma l’art. 92 Cost., secondo il quale il governo della Repubblica è composto da un organo collegiale e da una pluralità di organi individuali:
  1. il presidente del Consiglio dei ministri;
  2. i ministri;
  3. il Consiglio dei ministri (organi collegiale che riunisce il primo e i secondi).
La disciplina relativa al governo della Repubblica trova spazio in Costituzione nel titolo III della parte II, inoltre in una serie di legge che, a partire dal 1988, vi hanno dato esecuzione. La Costituzione dedica al governo solo cinque articoli che costituiscono, secondo un opinione prevalente, una delle parti meno felici della nostra carta fondamentale. Ciò si deve sia alla stringatezza del testo sia alla mancanza di chiarezza nell’identificazione delle rispettive responsabilità all0interno dell’organo governativo. I costituenti non ritennero né di individuare un nitida gerarchia all’interno del governo (consolidata solo di recente con il presidente del Consiglio in posizione guida rispetto ai ministri); né di riconoscere all’esecutivo nel suo complesso quei poteri di cui avrebbe avuto bisogno per assolvere adeguatamente alle sue funzioni (con conseguente difficoltà a tradurre le scelte effettive il programma preannunciato); né ritennero di rafforzarlo nella sua stabilita (con conseguente bassissima durata media e impossibilità di realizzare progetti a medio e lungo periodo).
L’articolo cruciale è l’art. 95 Cost. che cerca di risolvere la questione dei rapporti interno al governo fra gli organi che lo compongono.

- Il presidente del Consiglio ha un compito di direzione della politica generale del governo, della quale porta personale responsabilità politica. In particolare:
  1. a lui spetta mantenere l’unità dell’indirizzo politico e amministrativo (non determinare, compito del Consiglio come organo collettivo);
  2. può promuovere e coordinare l’attività dei ministri (manca qualsiasi posizione di supremazia, anche se la legge dice che può sospendere l’adozione di qualsiasi atto di un ministro per sottoporlo al Consiglio dei ministri e può altresì concordare con i ministri eventuali dichiarazioni pubbliche che riguardino la politica generale del governo);
  3. il suo potere giuridico chiave, ex art. 92.2 Cost., è la proposta al presidente della Repubblica dei nomi dei ministri (ma non la loro revoca);
  4. solo su sua iniziativa può essere proposta la questione di fiducia d’innanzi alle Camere;
  5. controfirma qualsiasi atto del Consiglio (in questo può esercitare un potere di condizionamento) e presenta alle Camere i disegni di legge d’iniziativa governativa;
  6. ha l’alta direzione e la responsabilità della politica dell'informazione per la sicurezza, ha il potere di porre il segreto di stato, nomina i direttori dei servizi di intelligence (attività di spionaggio e controspionaggio);
  7. promuove e coordina l’azione del governo nei rapporto cin il sistema delle autonomie regionali e locali;
  8. promuove e coordina l’azione del governo dell’Unione europea ed è responsabile dell’attuazione degli impegno assunti in ambito europeo;
Il presidente del Consiglio ha sede a Palazzo Chigi a Roma. È dotato di una struttura comporta di numerosi dipartimenti, uffici, servizi e diverse migliaia di dipendenti e collaboratori. Questa struttura ha il nome di presidenza del Consiglio, gode di autonomia contabile e di bilancio e di autonomia organizzativa.

- Il Consiglio dei ministri assume tutte le deliberazioni relative alla funzione di indirizzo politico: determina la politica generale del governo e dirime eventuali conflitti di competenza fra ministri. In particolare, il Consiglio decide:
  1. su proposta del presidente del Consiglio, di porre la questione di fiducia in Parlamento;
  2. sugli indirizzi di politica internazionale ed europea;
  3. sulla presentazione dei disegni di legge e su tutti gli atti normativi (decreti legge, decreti legislativi, regolamenti governativi);
  4. sulle nomine al vertice di enti, istituti o aziende di competenza dell’amministrazione dello Stato;
  5. sui ricorsi alla Corte costituzionale contro una legge regionale e sui conflitti di attribuzione contro un altro potere dello Stato o una regione;
  6. sull’annullamento straordinario di atti amministrativi illegittimi.
Un regolamento adottato con decreto del presidente del Consiglio disciplina le riunioni del Consiglio: le modalità di inserimento all’ordine del giorno (fissato dal presidente del Consiglio), la convocazione delle riunioni preparatorie, il contenuto dei verbali, non ché il seguito delle iniziative legislative governative.

- I singoli ministri costituiscono il vertice delle amministrazioni cui sono preposti. Essi rispondono insieme (“collegialmente”) degli atti del Consiglio dei ministri e, individualmente, ciascuno, degli atti dei rispettivi ministeri. Attualmente i ministeri sono 13. Tuttavia, al momento della formazione del governo possono essere nominati altri ministri i quali non siano a capo di alcun ministero, ma esercitino funzioni attribuite alla presidenza del Consiglio, a loro delegate dal presidente del Consiglio che ne resta titolare. Sono questi i ministri senza portafoglio (quelli per la cui attività il bilancio dello Stato non prevede specifici capitoli di spesa): essi siedono peraltro a pieno titolo in Consiglio dei ministri al pari dei ministri con portafoglio.
Non esiste una precisa linea di demarcazione fra ciò che appartiene alla politica generale e ciò che ha carattere settoriale (e dunque ricade nella responsabilità del singolo ministro).  Molto, se non tutto, finisce col dipendere dalla forza, non giuridica ma politica, del presidente del Consiglio in base alla quale stabilisce cosa sia di sua competenza e cosa di competenza dei singoli ministri. Si spiega così perché, per decenni, quel coordinamento e l’omogeneità nell’azione complessiva dell’esecutivo siano venuti a mancare.

La l. 400/1988 prevede anche una serie di organi costituzionalmente non necessari che integrano la composizione dell’organo governo. Si tratta di:
  1. uno o più vicepresidenti del Consiglio dei ministri, cioè ministri ai quali su proposta del presidente, il Consiglio attribuisce la funzione di supplenza in caso di assenza del presidente stesso (spesso nominati per ragioni politiche, cioè con lo scopo di attribuire rilievo ai partiti della coalizione diversi da quello cui appartiene il presidente del Consiglio);
  2. i sottosegretari di stato alla presidenza del Consiglio e a ciascun ministero, i quali hanno il compito di coadiuvare il presidente o il ministro e, su sua delega, esercitare determinate funzioni che a lui appartengono. Uno dei sottosegretari alla presidenza del Consiglio viene nominato segretario del Consiglio dei ministri ed è responsabile del verbale: è l’unico sottosegretario che partecipa alle sedute del Consiglio. Su proposta del presidente del Consiglio, il Consiglio dei ministri può individuare non più di dieci sottosegretari che assumono il titolo di vice ministri.
La legge prevede un numero massimo di componenti del governo: esso è attualmente 65.
Sono inoltre previsti comitati interministeriali in determinati settori: un tempo numerosi, oggi sono pochissimi tra i quali si possono citare il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (Cisr), Comitato interministeriale per il coordinamento in materia di affari comunitari europei (Ciace). Rispondo invece a scelte contingenti del presidente del Consiglio i comitati di ministri che il presidente può istituire per svolgere compiti istruttori, fra questi il consiglio di gabinetto, organo di supporto politico del presidente, composto da ministri di particolare importanza per il dicastero che guidano.
Su proposta del presidente del Consiglio, infine, il Consiglio dei ministri può deliberare la nomina di commissari straordinari del governo, ai quali sono affidati specifici progetti o particolari funzioni di coordinamento fra diverse amministrazioni statali.
La l. 215/2004 ha introdotto norme volte a evitare e risolvere eventuali conflitti di interesse, in particolare in campo economico. La legge riconosce un generale potere di controllo in materia da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

  1. COME IL GOVERNO SI FORMA
Nel nostro ordinamento il governo, diversamente dal Parlamento e dal presidente della Repubblica, non è un organo a durata fissa. Ciò dipende dal fatto che la sua formazione è conseguente alle elezioni parlamentari.
Il governo si costituisce per nomina del presidente della Repubblica (art. 92.2 Cost.). Inoltre l’art. 94 Cost. dispone che:
  1. il governo deve godere della fiducia di entrambe le Camere;
  2. questa fiducia non è presunta, ma deve essere ottenuta dal governo nominato che si deve presentare alle Camere entro 10 giorni dal giuramento.
Il presidente della Repubblica è quindi obbligato a nominare una personalità in grado di conseguire la fiducia delle Camere. Secondo la tradizione costituzionale italiana, il presidente consulta a tale scopo le forze politiche, e segnatamente i presidenti dei gruppi parlamentari e i capi dei partiti che questi affiancano negli incontri.
Le consultazioni presidenziali precedenti la formazione del governo devono considerarsi una prassi consolidata, pur non previste in alcune norma scritta. In certe fasi della storia del paese i presidente allargarono le consultazioni (coinvolgendo esponenti di organizzazioni sociali ed economiche) da far pensare che esse potessero portare a individuare non solo un presidente del Consiglio e una maggioranza, ma anche uno specifico indirizzo politico-programmatico. In seguito, per vari decenni, le consultazioni sono state limitate, a parte i presidenti delle due Camere, gli ex presidenti della Repubblica e ai gruppi parlamentari. 
All’indomani delle lezioni il presidente ha consultato tutti insieme i gruppi delle colazioni elettorali e poi i rappresentati dei gruppi non coalizzati; non così in occasione delle crisi nel corso della legislatura. Infatti altro è l’impegno richiesto al presidente quando le elezioni producono esisti certi e quando le maggioranze restano coese, capaci di esprimere indicazioni univoche chiare, altra è l’iniziativa che egli è obbligato a intraprendere quando così non è, e si tratta di farsi mediatore fra forze non in grado di mettersi d’accordo da sole. 
La prassi è stata fin qui che il presidente della Repubblica, una volta esperite le sue consultazioni, non nomini subito il presidente del Consiglio, ma affidi l’incarico di formare il governo alla personalità prescelta e che questi accetti l’incarico con riserva. In tal modo, dal punto di vista formale, il presidente della Repubblica rimane ancora il dominus del procedimento di formazione del governo, colui che ne ha il controllo. Egli procede alla nomina formale solo nel momento solo nel momento in cui il presidente incaricato, sciolta la riserva con la quale aveva accettato, appunto, l’incarico di formare il governo, gli presenta la lista dei ministri.
Resta però il punto giuridico: il presidente del Consiglio è nominato prima della fiducia parlamentare e, su sua proposta, il presidente della Repubblica nomina gli altri ministri. Questi vuol dire che il Parlamento è chiamato a giudicare insieme i vari elementi della formazione del governo. In ordini ai ministri, molto si è discusso sulla quesitone del margine di autonomia che il presidente del Consiglio appena nominato ha nello scegliere i componenti del suo governo: autonomia giuridicamente piena con il solo temperamento di un radicale dissenso del capo dello Stato; autonomia politicamente variabile a condizionamento dei partiti del cui sostegno parlamentare il presidente del Consiglio non poteva fare a meno. 
Come prevede l’art. 1.2 della l. 400/1988, è il presidente nominato a controfirmare il decreto presidenziale di nomina; il decreto di nomina dei ministri è controfirmato dal nuovo presidente del Consiglio, il quale poi, con proprio decreto, conferisce gli incarichi specifici a coloro che sono stati nominati ministri senza portafoglio. 
Con giuramento il governo entra in carica e i singoli suoi componenti prendono letteralmente possesso dei loro uffici, assumendo tutte le responsabilità che la Costituzione e le leggi a essi attribuiscono. La correttezza costituzionale impone tuttavia che un governo in attesa di fiducia limiti la propria attività all’ordinaria amministrazione, rinunciando cioè alle iniziative di rilievo politico.
Le fasi successive della formazione del governo prevedono: il completamento della composizione del governo mediante la nomina dei sottosegretari e dei viceministri; la stesura delle linee programmatiche; infine, entro dieci giorni, la presentazione alle Camere, senza che il presidente debba ripetere il discorso.
Il dibatti parlamentare si conclude in ciascuna camera con l’approvazione di una mozione di fiducia, per prassi presentata dia capigruppo della maggioranza. A differenza di quanto prevede l’art. 94.2, la mozione non è “motivata” s non facendo generico riferimento alle dichiarazioni programmatiche del presidente. Il governo deve ottenere la maggioranza semplice dei voti, fermo il quorum strutturale della metà più uno dei componenti; la votazione avviene in mediante scrutinio palese e appello nominale (i deputati e i senatori devono dire “si” o “no” o “mi astengo” alla mozione di fiducia, passando davanti al presidente dell’assemblea). 
La fiducia di entrambe le Camere integra e completa il procedimento della formazione del governo.
  1. LA RESPONSABILITÀ DEL GOVERNO
Il governo è legato ovviamente da un rapporto di responsabilità politica in senso tecnico-giuridico al Parlamento: ciascuna delle due Camere può sfiduciarlo, approvando una mozione ad hoc presentata nelle forme previste dall’art. 94 Cost. (motivata; presentata da almeno un decimo dei componenti; discussa non prima di tre giorni dalla presentazione; votata per appello nominale), oppure anche negando la fiducia quando è il governo che la sollecita ponendo la questione di fiducia. Ciascun ministro risponde dal punto di vista politico anche individualmente. Il governo nel suo insieme, e ciascun componente, rispondono di una responsabilità politica diffusa nel senso che ciò che fanno o non fanno è sottoposto al giudizio dell’opinione pubblica, senza conseguenze giuridiche. 
Sotto il profilo della responsabilità civile e amministrativa (anche contabile) i componenti del governo rispondono alla stregua di colo che sono preposti a pubblici uffici (ex art. 28 Cost.).
Per quel che riguarda la responsabilità penale, invece, occorre distinguere tra:
  1. reati commessi nell’esercizio delle funzioni, commessi avvalendosi della posizione e dei poteri della carica di governo;
  2. tutti gli altri reati, che vengono giudicati come vengono giudicati per ogni altro cittadino.
Per quanto riguarda i primi è prevista una disciplina speciale. In sintesi:
  1. le indagini preliminari sono affidate a un collegio composto da tre magistrati; questi sono estratti a  sorte ogni due anni fra tutti quelli del distretto giudiziario competente per territorio che hanno anzianità almeno quinquennale di magistrato di tribunale; ove il collegio non disponga di archiviazione, gli atti sono trasmessi a una delle Camere per l'autorizzazione a procedere;
  2. l’autorizzazione è deliberata dalla camera di appartenenza, a meno che non si proceda contro più persone a camere diverse o che non sono parlamentari, nel qual caso spetta al senato deliberare;
  3. l’autorizzazione può essere negata solo ove l’assemblea reputi a maggioranza assoluta che l’inquisito “abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante”; tale valutazione è insindacabile;
  4. ove l’autorizzazione venga concessa, il tribunale del capoluogo del distretto competente per territorio giudice naturale di primo grado.
Fino alla legge cost. 1/1989 la competenza a giudicare è attribuita alla Corte costituzionale. Dopo un referendum abrogativo la disciplina è stata riformata nel senso descritto: sia in ossequi al principio di ragionevole eguaglianza (la competenza è ora della magistratura ordinaria, previa autorizzazione della Camera o del Senato), sia perché l’esperienza dell’unico caso di processo per reati ministeriali (processo Lockheed, 1977), aveva mostrato che giudizi del genere possono paralizzare a lungo la Corte.
La l. 140/2003 (lodo Schifani) aveva stabilito che il presidente del Consiglio non potesse essere sottoposto a processi penali, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica, fino alla cessazione della stessa (improcedibilità nei confronti di alte cariche dello stato). La disposizione fu dichiarata incostituzionale con la sent. 24/2004. All’inizio della XVI legislatura, su iniziativa del governo Berlusconi, fu approvata la l. 124/2008 (lodo Alfano) la quale, con una diversa formulazione ritenuta rispettosa di quella sentenza, previde nuovamente la sospensione dei processi penai nei confronti del presidente del Consiglio (oltre che del presidente della Repubblica, del presidente del Senato e della Camera). La Corte costituzionale, tuttavia, ha dichiarato illegittima anche questa legge con la sent. 262/2009: la sospensione nei processi, secondo la Corte, assume il carattere di una vera e propria prerogativa e pertanto va disposta con norma di rango costituzionale. Successivamente fu approvata la l. 51/2010 su “legittimo impedimento” di comparire in udienza: questa fu prima dichiara parzialmente illegittima, poi le parti che rimanevano furono abrogate da referendum.
  1. COME IL GOVERNO CESSA DALLE FUNZIONI
Il governo cessa dalle funzioni nel momento in cui un nuovo governo giura nelle mani del presidente della Repubblica. Tuttavia, dal momento in cui esso entra in crisi, elementari norme di correttezza costituzionale impongono che si attenga alla ordinaria amministrazione, ovvero agli affari correnti (quel complesso di attività che devono essere comunque compiute giorno per giorno). È prassi che il presidente del Consiglio dimissionario indirizzi ai propri ministri una leggera circolare che specifica ciò che essi possono e devono fare in pendenza della crisi.
La crisi di governo è conseguenza delle dimissioni di questi e, in particolare, del presidente del Consiglio dei ministri. È prassi che il presidente convochi il Consiglio per annunciare il suo intendimento a dimettersi (non è richiesta nessuna deliberazione). Si usa invece chiamare rimpasto la semplice sostituzione di più ministri senza crisi di governo. Quando un ministro si dimette e in attesa di individuarne il successo, si chiama a intermin l’incarico di reggere un ministero, a titolo appunto provvisorio, che il presidente del Consiglio assume o affida a un altro ministro.
Un governo cessa dalle sue funzioni se:
  1. scade la legislatura;
  2. viene approvata la mozione di sfiducia
  3. viene posta la questione di fiducia dal governo, e la fiducia viene negata dal Parlamento.
In caso di approvazione da parte di una delle Camera di una mozione di sfiducia, il governo è obbligato a dimettersi. Essa infatti è l’unica modalità attraverso la quale ciascuna camera può revocare la fiducia al governo.
In base ai regolamenti parlamentari, potendo il governo porre la questione di fiducia in occasione di qualsiasi deliberazione parlamentare), il voto contrario equivale in questo caso ad approvazione di una mozione di sfiducia: e dunque determina l’obbligo di dimissioni. In entrambi i casi si vota con le medesime modalità (voto palese e appello nominale).
Nella lunga prassi repubblica solo due sono stati i governi caduti per espressa sfiducia (posta questione dal Governo stesso): il governo Prodi I e il governo Prodi II, sconfitti il primo alla Camera per un voto nel 1998, il secondo al Senato nel 2008. Tutti gli altri governo si sono dimessi per iniziativa propria, determinata talvolta da sconfitte parlamentari considerate gravi a tal punto da giustificare politicamente, non giuridicamente, le dimissioni. Più spesso per ragioni legate ai partiti della maggioranza e per il ritiro del sostegno annunciato da uno di questi; oppure ancora, a seguito di insuccessi della coalizione di maggioranza in elezioni parziali, regionali o locali. Tale prassi, caratterizzata dunque da crisi extraparlamentari, è stata una delle manifestazioni di maggior debolezza della forma di governo italiana. 
In parte diverso è il caso dei governo che cessano le funzioni non per dimissioni di natura politica, ma per dimissioni conseguenti all’avvio di una nuova legislatura. I governi in carica si sono sempre dimessi all’indomani del voto: ciò si deve ritenere un dovere di correttezza costituzionale nel caso in cui non sia mutata la maggioranza parlamentare; un vero e proprio obbligo giuridico nel caso invece in cui ciò sia accaduto.
Quanto ai singoli ministri, la nostra Costituzione non parla di un potere di “revoca” per il presidente del Consiglio. Tuttavia, il regolamento della Camera e la prassi anche del senato, pur dissenziente parte della dottrina, ammettono la mozione di sfiducia individuale contro un singolo ministro; istituto legittimato dalla sent. 7/1996 della Corte costituzionale (episodio della mozione approvata dal Senato contro il ministro della giustizia Mancuso, del governo Dini, nel 1995).

  1. IL GOVERNO E I SUOI RAPPORTI CON ALTRI ORGANI E SOGGETTI
  • Parlamento
Il governo è legato strettamente al Parlamento attraverso il rapporto fiduciario; tale rapporto definisce quello italiano come un regime parlamentare. Non di meno il ruolo del governo in Parlamento è determinante, sia come co-protagonista dell’azione legislativa, sia come oggetto dell’esercizio della funzione di controllo, sia come destinatario degli indirizzi politici della Camere.

  • Presidente della Repubblica
Il governo è nominato dal presidente della Repubblica e con esso intrattiene continue e importanti relazioni giuridiche e politico-istituzionali. Le deliberazioni del Consiglio dei ministri vengono assunte nella forma del presidente della Repubblica; dagli atti normativi alle principali nomine. Tutte le iniziative legislative del governo devono essere autorizzate, almeno formalmente, dal presidente della Repubblica. Nella prassi, il governo tiene informato il presidente della Repubblica di tutte le iniziative più importanti.

  • Corte costituzionale
Il presidente del Consiglio, su deliberazione del Consiglio dei ministri, solleva conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, rappresentato e difeso dall’avvocato generale dello Stato. Il presidente del Consiglio interviene, se lo ritiene, nel giudizio di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge o ancora del giudizio di ammissibilità di un referendum abrogativo; solleva questione di legittimità costituzionale in via diretta contro una legge regionale e resiste avverso la questione sollevato da una regione contro una legge dello stato.

  • Magistratura
Il governo non ha alcun potere in ordine a tutto ciò che riguarda la carriera dei magistrati e l’esercizio della giurisdizione, con una sola eccezione affidata dalla Costituzione direttamente al ministro della giustizia (art. 107.2). Si tratta della facoltà di promuovere l’azione disciplinare nei confronti dei singoli magistrati davanti al Consiglio superiore della magistratura. Ciò implica un potere ispettivo sull'organizzazione e il funzionamento degli uffici giudiziari. Per il resto, il ministro e il governo si occupano della gestione amministrativa dell’attività giudiziaria; della cooperazione internazionale; dell’organizzazione dei servizi e della predisposizione dei mezzi di cui la giurisdizione necessita; dell’amministrazione delle carceri.

  • Regioni ed enti locali
Vista l’assenza di un organo costituzionale portavoce diretto delle autonomie regionali e locali, in sede governativa sono situati oggi gli unici organi di raccordo istituzionale fra Stato e autonomia: la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome, la Conferenza Stato-città e autonomie locali e la Conferenza unificata che raccoglie le prime due. Esse sono coinvolte in varie forme in tutti i processi decisionali di interesse dei diversi enti sub-nazionali.

  • Unione europea
Il governo, tramite la partecipazione del presidente del Consiglio al Consiglio europeo e la partecipazione dei ministri al Consiglio dell’Unione, è l’organo costituzionale che più direttamente concorre a tutto il processo decisionale europeo.

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