Cap. 17 - LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE
1. LE ORGINI E I MODELLI DELLA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE
Le forme fondamentali di garanzia della costituzione sono:
- il procedimento di revisione costituzionale;
- la giustizia costituzionale.
Il procedimento di revisione ha la funzione di garantire la rigidità della costituzione, assicurando forme aggravate di deliberazione; la giustizia costituzionale ha la funzione di garantire la supremazia della costituzione. Essa assicura il rispetto delle sue norme, attraverso la risoluzione in forma giurisdizionale delle controversie relative alla legittimità costituzionale degli atti legislativi o relative alle attribuzioni degli organi e soggetti costituzionali.
La giustizia costituzionale è una delle conquiste più recenti del costituzionalismo moderno.
Un precedente si trova nella giurisprudenza del giudice inglese Sir Edward Coke, il quale, nel caso Bonham (1610), sostenne che quando un atto del parlamento è contrario al diritto e alla ragione comune o di impossibile attuazione, la common law lo controllerà e lo potrà giudicare nullo. Tale dottrina, tuttavia, non ebbe seguito in Inghilterra dopo la Gloriosa Rivoluzione, che consacrò il principio della sovranità del parlamento (come dicono gli inglesi: i giudici devono applicare le leggi del parlamento e non possono pronunciarsi sulla costituzionalità o validità di esse).
Furono le colonie americane a riconoscere nella costituzione la garanzia contro ogni forma di assolutismo o dispotismo. Sicché il principio della superiorità della costituzione rispetto alla legge e il conseguente riconoscimento del ruolo di tutori di essa riservato ai giudici, affermati prima dagli autori del Federalist (1787-1788) e poi da John Marshall nella storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti Marbury vs. Madison (1803).
Nel continente europeo non vi erano allora le premesse per uno sviluppo simile: il costituzionalismo nato dalla Rivoluzione francese, infatti, sostituì l'assolutismo monarchico con una sorta di assolutismo dell'assemblea nazionale, che respingeva qualsiasi forma di controllo esterno, e forme di sindacato da parte dei giudici.
L'esigenza di assicurare l'unità dello stato di fronte al prorompere del pluralismo sociale agli inizi del XX e quindi a chi affidare il compito di garantire la costituzione, fu la base della polemica tra i due grandi costituzionalisti tedeschi:
- Hans Kelsen (costituzione = regola sulla produzione del diritto) suggeriva il ricorso a un organo giurisdizionale: una corte che, in posizione di indipendenza rispetto ai soggetti da controllare, avrebbe esercitato la funzione di garantire la regolarità dei meccanismi di decisione stabiliti dalla costituzione.
- Carl Schmitt (costituzione = decisione politica fondamentale) riteneva che la sua garanzia poteva essere affidata solamente ad un organo che rappresentasse direttamente l'unità politica del popolo, e che tale organo non potesse che essere il capo dello stato (guarda alla Repubblica di Weimar).
Nel primo ma soprattutto nel secondo dopo guerra, molte costituzioni recepirono il modello di Kelsen e istituirono tribunali costituzionali: la prima fu la Costituzione dell'Austria (1920-1929). Organi di giustizia costituzionale sono stati poi previsti in Italia (1948), Germania (1949), Spagna (1978), nonché, negli anni Novanta, in quasi tutti i paesi dell'Europa centro-orientale.
I principali ambiti in cui opera la giustizia costituzionale, in linea con le sue origini storiche sono:
- controllo di costituzionalità degli atti legislativi sotto il profilo formale (conformità alla norme costituzionali sul procedimento di adozione dell'atto), sia sotto il profilo sostanziale (conformità al dettato delle norme costituzionali);
- il sindacato sulle controversie tra i diversi organi o soggetti costituzionali relative alle loro competenze costituzionali;
- tutela dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti.
Fra i sistemi di controllo giurisdizionale di costituzionalità la summa divisio è tra sistema diffuso e sistema accentrato.
- Nel sistema diffuso il controllo di costituzionalità è affidato a tutti gli organi giudiziari, i quali, in caso di contrasto con la costituzione, disapplicano la legge con efficacia limitata al caso in esame. L'esempio principale di tale modello è quello vigente negli Stati Uniti (judicial review of legislation) dove l'esigenza di unità dell'ordinamento è assicurata:
- dal fatto che il potere giudiziario ha una struttura piramidale, al cui vertice è collocata la Corte Suprema cui spetta l'ultima parola sulla costituzionalità della legge;
- dal principio dello stare decisi, ossia del precedente vincolante dal quale è possibile di fatto discostarsi solo in casi particolari.
- Nel sistema accentrato il controllo di costituzionalità è affidato ad un unico tribunale costituzionale, istituito ad hoc. Il sindacato accentrato è caratterizzato dal fatto che il tribunale decide in via definitiva con efficacia erga omnes, espungendo dall'ordinamento le norme incompatibili con la costituzione, e non solo disapplicandole.
Quanto ai modi di attivazione della giurisdizione costituzionale, si può distinguere tra:
- controllo preventivo e controllo successivo, a seconda che la pronuncia avvenga prima dell'entrata in vigore dell'atto la cui legittimità costituzionale è in discussione (come in Francia) o che avvenga dopo la sua entrata in vigore (come in Italia e in Germania);
- controllo in via diretta (in via d'azione) e in via indiretta (in via incidentale) a seconda che sia consentito, ai soggetti legittimati a farlo, d'impugnare direttamente (senza filtri) oppure indirettamente (solo in certi ambiti e a certe condizioni) gli atti che si assumono contrastanti con la costituzione.
La Costituente ha introdotto in Italia un modello di giustizia costituzionale che per un verso è accentrato, essendoci una Corte costituzionale; per un altro diffuso perché tutti i giudici possono attivarne lo scrutino di costituzionalità. Per questo si definisce modello misto. Esso combina controllo accentrato da un lato acceso diretto e indiretto dall'altro.
2. LA CORTE COSTITUZIONALE: COMPOSIZIONI E FUNZIONI
L'organizzazione e il funzionamento della Corte costituzionale sono disciplinati solo in parte dalla Costituzione (artt. 134-137). Sulla base di esplicite previsioni normative molte disposizioni in materia sono contenute:
- in alcune importanti leggi costituzionali ex art 137.1 Cost. (l. cost. 1/1948 introduzione del giudizio di legittimità in via incidentale);
- in disposizioni legislative ordinarie es art. 137.2 Cost (l. 87/1953);
- in fonti regolamentari interne adottate dalla stessa Corte costituzionale (regolamento generale del 1966 e le norme integrative del 2008, previsti dalla legge 87);
La Corte costituzionale è composta da 15 giudici che sono nominati:
- per 1/3 dal presidente della Repubblica;
- per 1/3 dal Parlamento in seduta comune;
- per 1/3 dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative (art.135.Cost.)
Tutti i giudici costituzionali sono scelti fra i magistrati a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria e amministrative, i professori ordinari di università in discipline giuridiche e gli avvocati con anzianità professionale di almeno vent'anni (art. 135.2).
- I giudici di nomina parlamentare sono eletti con una maggioranza dei due terzi per le prime tre votazioni, e poi dei tre quinti, sempre dei componenti.
- l presidente della Repubblica nomina i giudici con proprio decreto, atto considerato sostanzialmente presidenziale.
- Dei giudici delle magistrature superiori, tre sono eletti dai magistrati della Corte di cassazione, uno da quelli del Consiglio di stato, uno da quelli della Corte dei conti.
Il mandato dei giudici costituzionali dura 9 anni della data del giuramento e cessa senza prorogatio: non sono rieleggibili (art 135.3 e 4). Il presidente della Corte è eletto dai suoi componenti per 3 anni ed è rieleggibile (art. 135.5), ma ciò è accaduto solo tre.
Quanto allo status di giudice costituzionale, la Costituzione stabilisce che il relativo ufficio è incompatibile con la carica parlamentare, di consigliere regionale, con la professione forense e con ogni altra carica o ufficio indicati dalla legge (art.135.6). Le garanzie di indipendenza, le immunità e le prerogative dei giudici della Corte sono in sostanza equiparate a quelle del parlamentare.
La Corte costituzionale è competente a giudicare (art.134 Cost.):
- sulle controversie alla legittimità delle leggi atti aventi forza di legge dello Stato e delle leggi delle regioni;
- sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e sui conflitti tra lo Stato e le regioni tra regioni;
- sulle accuse promosse dal Parlamento in seduta comune contro il presidente della Repubblica in caso di alto tradimento e attentato alla Costituzione;
La Corte è inoltre competente a giudicare sull’ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo (art.2l.cost.1/1953).
Il metodo di lavoro della Corte costituzionale è importato al principio di collegialità (art.16 l. 87/1953). Alla decisione della questione, che deve essere adottata a maggioranza assoluta, fermo il quorum strutturale di 11 giudici, devono partecipare tutti i giudici presenti all’udienze in cui si è svolto il giudizio (il collegio giudicante non può essere modificato nel corso del giudizio, salvo in caso di forza maggiore; non è possibile astenersi dalla deliberazione). Le adunanze si tengono in udienza pubblica salvo motivi eccezionali per i quali il presidente della Corte può disporre che la riunione si svolga a porte chiuse.
Il presidente nomina, nella fase iniziale dell’esame, un giudice relatore per l’istruzione e la relazione della causa. Avvenuta la votazione, viene nominato un giudice redattore del provvedimento; il testo così predisposto viene sottoposto all’esame del collegio e, se approvato, viene sottoscritto dal presidente e dallo stesso redattore. La coincidenza tra il giudice relatore e il giudice redattore è la regola nella prassi della Corte. Non mancano alcuni episodi di dissociazione delle due figure che possono essere ricollegati all’eventualità che la tesi del relatore sia rimasta in minoranza in seno al collegio. In tal senso, dal 2003, nella sentenza 393/2006 la sostituzione viene espressamente descritta, come accadimento processuale, nel testo della pronuncia. Il fenomeno, merita attenzione poiché fortemente collegato con la discussione sull’opportunità di introdurre nel nostro ordinamento l’istituto della opinione dissenziente previsto in altri ordinamenti.
- IL GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE: L’OGGETTO E IL PARLAMENTO
L’art 134 Cost. circoscrive il sindacato di costituzionalità alle “leggi e agli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle regioni”. Oggetto di controllo sono dunque:
- le leggi ordinarie dello Stato;
- gli atti aventi forza di legge dello Stato;
- le leggi regionali e leggi delle province autonome di Trento e Bolzano.
Il termine di raffronto ai fini del giudizio della Corte, il parametro, è dato prima di tutto dalle norme costituzionali; in secondo luogo da quelle norme diverse dalla Costituzione cui la Costituzione fa rinvio obbligando il legislatore a rispettarle (norme interposte).
Nel nostro sistema sono sottoposti al controllo della Corte costituzionale esclusivamente gli atti normativi primari (statali e regionali). Non sono sottoposti alla Corte:
- le fonti fatto (consuetudini)
- gli atti normativi secondari (regolamenti: subordinati alla legge, sono sindacabili davanti al giudice amministrativo che può annullarli e quello ordinario che può disapplicarli).
- atti di altri ordinamenti (es. atti normativi dell'Unione Europea)
- i regolamenti parlamentari.
- Leggi costituzionali e leggi di revisione costituzionale. La loro sindacabilità discende appunto dalla distinzione tra Costituzione e leggi costituzionali: la Costituzione, in quanto legittima ogni processo di produzione del diritto, ha valore superiore rispetto a tutti gli atti normativi posti in essere dai poteri costituiti, e quindi anche rispetto alle leggi di rango costituzionale che devono essere approvate secondo il procedimento dell'art. 138 Cost. (profilo formale). Sotto il profilo sostanziale la Corte individua i limiti alla revisione costituzionale, al di là di quelli esplicitamente previsti dalla Costituzione (art.139).
- Leggi ordinarie dello Stato, leggi regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano. Tutte le leggi dello Stato, delle regioni e delle province autonome possono essere impugnate davanti alla Corte costituzionale: ciò sia per ragioni relative alla forma e al procedimento di adozione dell'atto, sia per ragioni relative al contenuto delle prescrizioni normative.
- Atti dello Stato aventi forza di legge: decreti legge. La possibilità effettiva che un decreto legge adottato dal governo sia giudicato dalla Corte è condizionata dalla provvisoria vigenza del decreto stesso (60 giorni). È in fatti improbabile che la pronuncia della Corte intervenga prima della conversione in legge. Un tempo l'orientamento prevalente era che i vizi del decreto legge dovessero essere fatti valere entro il termine di vigenza, ma successivamente la giurisprudenza della Corte ha consentito l'intervento della stessa sia nel caso di decreti legge reiterati sia nel caso di decreti legge convertiti dal Parlamento in mancanza di presupposti costituzionali e infine nel caso di decreti legge modificati dal Parlamento con emendamenti del tutto estranei al testo originario.
- Atti dello Stato aventi forza di legge: decreti legislativi. Nel procedimento di delegazione legislativa occorre distinguere la legge di delegazione, sindacabile sia sotto il profilo formale sia sostanziale, e il decreto legislativo, sindacabile anche per violazione dei limiti posti dalla legge di delegazione ex art. 76 Cost.
Le leggi di delegazione rientrano nella categoria delle norme (parametro) interposte tra la Costituzione e l'atto legislativo oggetto di controllo. Si usa dire che le norme cui la Costituzione rinvia giocano, nel giudizio di legittimità costituzionale, il ruolo di norme interposte, poste tra la Costituzione e la legge e pertanto al di sopra della legge sottoposta al giudizio della Corte. Altre norme interposte sono le leggi statali, che stabiliscono i principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente ex. art 117.3 Cost (parametro ai fini del giudizio di legittimità di leggi regionali), nonché le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute ex art.10.1 Cost. e le norme di trattati internazionali, a partire dalla Cedu, in relazione a quanto previsto dall' art. 177.1 Cost. La corte ha invece escluso la possibilità di sindacare le leggi eventualmente approvate in violazione di norme dei regolamenti parlamentari cui pur tuttavia l'art. 72.1 Cost. rinvia: essi non possono quindi fungere da parametro interposto.
- Statuti regionali ordinari. In base all’art. 123 Cost., la Corte può essere chiamata a sindacare, su richiesta del governo, la legittimità costituzionale degli statuti delle regioni ordinarie. Vanno ricordate: 1) la natura preventiva del controllo di legittimità per evitare che gli eventuali vizi si riversino nell’attività legislativa e amministrativa della regione); 2) la specificità del paramento di legittimità, costituito dal limite dell’armonia con la Costituzione.
4. I VIZI SINDACABILI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE
Un atto normativo per essere costituzionalmente legittimo deve essere, oltre che esistente (esteriormente individuato o individuabile), valido, cioè conforme alle norme che ne disciplinano la forma, il procedimento e il contenuto. Sotto questi profili si può parlare di illegittimità costituzionale dell'atto con riferimento a:
- vizi formali: attengono all'atto in quanto tale, e si hanno quando un atto legislativo non rispetta le regole che ne disciplinano il procedimento di formazione o anche la forma di pubblicazione;
- vizi sostanziali: attengono al contenuto di un atto normativo, indipendentemente da come è stato formato; si ha vizio sostanziale:
- quando il contenuto dell’atto lede la disciplina desumibile da una o più norme costituzionali (vizio sostanziale tout court);
- quando il suo oggetto non rispetta l'ambito materiale di competenza assegnato all'atto legislativo dalle norme costituzionali (vizio sostanziale per incompetenza).
Nel primo caso rientrano gli atti legislativi che discriminano i cittadini in base al sesso, violando l’art. 3.1 Cost., nel secondo caso rientra una legge dello Stato che interviene in una materia di competenza regionale, violando l'art. 117 Cost.
La giurisprudenza della Corte include tra i vizi che possono dar luogo ad illegittimità costituzionale anche il vizio di irragionevolezza della legge. Il principio di ragionevolezza e il correlativo vizio sono considerati strumenti utili a valutare tutte le ipotesi di atti normativi contrari alla funzione generale del diritto e della Costituzione: essa consiste nel conciliare ragionevolmente, la pluralità e la diversità (di regole, di valori, di interessi) con l'esigenza di coerenza delle parti nel tutto.
5. L' ACCESSO AL GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE
Vi sono due modi di accesso al giudizio di legittimità costituzionale:
- l'accesso diretto “in via d'azione” da parte dello Stato contro le leggi regionali e delle regioni avverso leggi o atti aventi forza di legge dello Stato (art.127 Cost);
- l'accesso indiretto “in via incidentale” che si ha quando la questione di legittimità costituzionale di una legge o atto avente forza di legge dello Stato o di una legge regionale sorge ''nel corso di un giudizio'' (art. 1 l. cost. 1/1948).
In questo modo si è cercato di conciliare due esigenze diverse: delimitare sul piano soggettivo le vie di accesso al giudizio della Corte e assicurare l'efficienza del giudizio di illegittimità costituzionale. Infatti la soluzione prescelta:
- lega la possibilità di adire la Corte all'esistenza di una concreta controversia pendente davanti un giudice, al quale solo spetta sollevare la questione di illegittimità costituzionale;
- limita i ricorsi diretti a soggetti istituzionali qualificati, quali lo stato e le regioni, escludendo altre ipotesi di ricorso diretto, come quello di minoranze parlamentari (come avviene in Francia, Austria, Portogallo e Spagna)
Non è previsto il ricorso diretto da parte di ciascun cittadino per la tutela dei propri diritti fondamentali lesi da un atto dei pubblici poteri (come in Spagna o in Germania).
6. I GIUDIZI SULLE LEGGI: IL GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE
Il giudizio in via incidentale (o anche in via d'eccezione, per distinguerlo dal giudizio in via d'azione) si ha quando la questione di legittimità costituzionale sia stata sollevata nel corso di un procedimento davanti a un' autorità giurisdizionale. Il controllo della Corte costituzionale presuppone quindi l'esistenza di un giudizio, chiamato giudizio principale (o anche giudizio a quo), per contrapposizione al giudizio incidentale che si svolgerà innanzi alla Corte stessa.
(1) Quali organi giurisdizionale possono rimettere la questione di legittimità costituzionale alla Corte, cioè l'individuazione del giudice a quo (l'organo giudicante legittimato a rinviare la questione di costituzionalità della Corte)? Possono promuovere la questione di costituzionalità non solo i giudici ordinari ed amministrativi, ma anche un'estesa e variegata categoria di altri organi, talora estranei all'ordinamento giudiziario, comunque dotati di funzioni giudicanti (la sezione disciplinare del Csm; le sezioni della Corte dei conti in sede di giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato e nell'esercizio delle funzioni di controllo; le commissioni tributarie; le commissioni per la liquidazione degli usi civici; i collegi arbitrali).
La corte costituzionale richiede due requisiti:
- requisito soggettivo: ossia l'esistenza di un giudice, incardinato nell'organizzazione della magistratura ordinaria o amministrativa;
- requisito oggettivo: esistenza di un giudizio in senso tecnico, ovvero di attività qualificabile come esercizio di una funzione giurisdizionale.
In alcuni i casi i due criteri vengono utilizzati in modo alternativo, in altri devono ricorrere congiuntamente. La Corte costituzionale, del pari, ha sempre riconosciuto in capo a se stessa la legittimazione a sollevare questioni di legittimità in via incidentale: anche il giudice costituzionale può essere giudice a quo.
(2) Chi, nel corso del processo, può sollevare la questione di legittimità? Essa può essere essere:
- sollevata su istanza da una delle parti del giudizio;
- sollevata d'ufficio da parte dello stesso giudice al quale pende il giudizio principale.
Le parti e il giudice devono precisare i termini e i motivi della questione di costituzionalità, individuando:
- le disposizioni della legge o l'atto avente forza di legge dello Stato o della legge di una regione che si ritengono viziate da illegittimità costituzionale (oggetto);
- le disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali che si assumono violate (parametro)
(3) Quali condizioni devono verificarsi affinché la questione di legittimità costituzionale possa accedere al giudizio della Corte? Il giudice a quo deve preliminarmente accertare l'esistenza di due condizioni di ammissibilità: che la questione di costituzionalità
- sia rilevante: una questione è rilevante quando ha oggetto una disposizione di legge la cui applicazione è necessaria per definire il giudizio in corso;
- sia non manifestamente infondata: la questione deve essere ragionevolmente seria e non presuntuosa; non si richiede che il giudice a quo confidi sulla fondatezza della questione, ma solamente che il giudice accerti sommariamente che sussiste un dubbio sulla costituzionalità della legge che si tratta di applicare (basta il minimo dubbio).
A partire dalla sentenza 356/1996, la Corte costituzionale richiede sempre più frequentemente che prima di sollevare una questione di costituzionalità, il giudice a quo svolga ogni tentativo diretto a verificare se il dubbio di legittimità possa essere superato per via interpretativa, ricercando, tra quelle possibili, l'interpretazione della disposizione oggetto del dubbio che consenta di renderla non in contrasto con la Costituzione.
Si parla dell'obbligo per il giudice di operare l'interpretazione conforme a Costituzione: secondo la Corte, infatti, in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali. Si discute in dottrina se, di fatto, non sia stata così introdotta una ulteriore condizione di proponibilità della questione di legittimità.
In presenza dei suddetti presupposti il giudice a quo, non potendo disapplicare la disposizione ne tanto meno dichiararla illegittima, deve sospendere il giudizio in corso per rimettere con ordinanza la questione di illegittimità alla Corte costituzionale. L'ordinanza deve contenere oggetto e parametro; nonché le risultanze della deliberazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza stessa. Se il giudice costituzionale, non riscontra l'esistenza delle due condizioni di ammissibilità, respinge con ordinanza motivata l'eccezione di illegittimità costituzionale per irrilevanza o per manifesta infondatezza: il valore di questa decisione è limitato alla fase del processo in cui è giunto il giudizio, ben potendo l'eccezione essere riproposta all'inizio di ogni grado ulteriore del processo.
Il fatto che il giudice a quo debba preventivamente accertare la sussistenza della rilevanza e della non manifesta infondatezza indica che il giudizio in via incidentale ha carattere indisponibile: se ricorrono quei presupposti, il giudice deve adire la Corte (non può astenersi).
(4) Deciso il rinvio alla Corte, il giudice a quo provvede a notificare l'ordinanza sia alle parti in causa sia al pubblico ministero, se presente. Qualora in discussione sia la legittimità di una legge statale, è prevista la notifica anche al presidente del Consiglio dei ministri; nel caso di una legge regionale, al presidente della giunta regionale. L'ordinanza è altresì comunicata ai presidenti delle Camere o al presidente del consiglio regionale. L'ordinanza è poi pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica (alla voce “atti di promovimento del giudizio della Corte”) e, quando occorre, nel Bollettino Ufficiale della regione interessata (essa serve a far si che tutti gli operatori del diritto potenzialmente interessati siano messi al corrente dell'imminente giudizio di legittimità). Entro 20 giorni dell'avvenuta notifica dell'ordinanza, le parti del processo a quo possono costituirsi nel giudizio innanzi alla Corte.
Le finalità del giudizio di costituzionalità rimangono quelle, oggettivamente rilevanti per l'ordinamento, di accertare la costituzionalità di determinare norme, al di là degli interessi delle parti nel giudizio a quo pendente e sospeso. Costituendosi innanzi alla Corte, però, le parti presentano argomenti idonei a sostenere un esito favorevole agli interessi da esse perseguiti nel giudizio di provenienza. Trascorsi i 20 giorni dalla notifica dell'ordinanza di rinvio, il presidente della Corte nomina un giudice relatore e convoca la Corte entro i 20 giorni successivi per la discussione della questione.
7. I GIUDIZI SULLE LEGGI: IL GIUDIZIO INVIA D'AZIONE
Il giudizio in via d'azione si apre direttamente mediante:
- ricorso dello Stato contro leggi regionali che eccedono la competenza della regione;
- ricorso della regione contro leggi e atti aventi forza di legge dello Stato o contro leggi di altri regioni che ledano la sua sfera di competenza.
Il giudizio in via d'azione ha carattere di procedimento:
- astratto, nel senso che le disposizioni impugnate vengono valutate sotto il profilo del proprio contenuto prescrittivo, a prescindere dalla loro concreta applicazione (non vi è un giudizio pendente come nel caso del ricorso in via d’eccezione).
- disponibile, essendo il giudizio di costituzionalità in questa ipotesi un giudizio di parti: i coinvolti possono, non devono, fare uso del potere di ricorrere direttamente alla Corte (potendo risolvere i contrasti insorti con accordi politici).
Fino alla riforma del titolo V della Costituzione vi era un' importante differenza fra il ricorso statale contro una legge regionale e quello regionale contro una legge statale: il primo aveva carattere preventivo, il secondo successivo. Oggi hanno entrambi carattere successivo nel senso che riguardano disposizioni già in vigore, ed entrambi possono essere promossi entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge statale e regionale. Quanto alla titolarità del ricorso, esso è presentato dal presidente del Consiglio dei ministri,previa delibera del Consiglio dei ministri, e dal presidente della giunta, previa delibera della giunta regionale, indicando l'oggetto e il parametro.
Quando è promossa questione di legittimità costituzionale in via d'azione, la Corte costituzionale fissa l'udienza entro 90 giorni. Se la Corte ritiene che l'esecuzione dell'atto impugnato possa comportare un irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico, all'ordinamento della Repubblica o ai diritti dei cittadini, può sospenderne l'efficacia, in attesa del giudizio.
Sotto il profilo sostanziale del ricorso, lo Stato può impugnare leggi regionali per qualsiasi vizio di legittimità costituzionale, invocando qualsivoglia parametro costituzionale; invece, le regioni possono impugnare leggi dello Stato o di un'altra regione solo nell'ipotesi di invasione della competenza ad essa assegnata da norme della Costituzione o da norme legislative interposte, come i decreti di attuazione degli statuti speciali o i decreti concernenti il trasferimento di funzioni statali.
8. I GIUDIZI SULLE LEGGI: TIPOLOGIA DELLE SENTENZE
8.1. La classificazione delle decisioni in generale
Il giudizio di costituzionalità sulle leggi, in entrambe le tipologie di ricorso viste, si chiude con una decisione della Corte costituzionale. Le decisioni hanno una forma tipica:
- le sentenze, quando la Corte giudica in via definitiva;
- le ordinanze, in tutti gli altri casi
- provvedimenti interlocutori: quando la Corte restituisce gli atti al giudice a quo perché meglio motivi l'ordinanza di rimessione;
- ordinanze di manifesta inammissibilità: quando le decisioni assunte mancano di uno dei requisiti necessari;
- ordinanze di manifesta infondatezza: quando la Corte dichiara la manifesta infondatezza della questione senza bisogno di verifiche approfondite.
Sia le sentenze che le ordinanze sono incluse in una comune numerazione progressiva annuale. Mentre le ordinanze succintamente motivate, le sentenze hanno una struttura tipica in cui si distinguono:
- la motivazione in fatto: l'esposizione dei fatti della causa;
- la motivazione in diritto: le ragioni che giustificano le decisione adottata;
- il dispositivo: la soluzione della controversia costituzionale
Le decisioni della Corte, a seconda del contenuto, possono distinguersi in:
- decisioni processuali: il giudizio lascia impregiudicata la questione di costituzionalità (riguarda infatti pronunce di inammissibilità per difetto di rilevanza o per carenza di giurisdizione del giudice a quo)
- decisioni in merito: la Corte entra nel merito della questione di legittimità e la risolve (con una pronuncia di fondatezza o non fondatezza)
Le sentenze di merito della Corte possono essere classificate secondo criteri, alternativi e concorrenti: secondo l'esito del giudizio che può essere di accoglimento o di rigetto della questione di costituzionalità. Tale esito può essere raggiunto seguendo diversi percorsi interpretatevi che consentono di trarre da una medesima disposizione più di una norma. Le sentenze di accoglimento infine, possono classificarsi in base alla tecnica di incisione applicata dalla Corte rispetto alle disposizioni sottoposte a controllo.
8.2. In base all'esito del giudizio: sentenze di accoglimento vs sentenze di rigetto
La principale distinzione delle decisioni di merito è tra sentenze di accoglimento e sentenze di rigetto: nelle prime la Corte accoglie il giudizio di illegittimità costituzionale, nelle seconde lo respinge. Il giudizio della Corte è un giudizio comparativo, nel quale si applica il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, vale a dire la decisione deve essere contenuta nei limiti dell'impugnazione. Vi è un eccezione: le sentenze della Corte possono dichiarare l'illegittimità consequenziale, oltre che delle norme impugnate, di altre norme indicate nell'ordinanza di remissione o nel ricorso diretto, la cui invalidità deriva come conseguenza della decisione di accoglimento della questione proposta.
8.3. In base al percorso seguito: le sentenze interpretative
Una seconda classificazione delle decisioni di merito si fonda sulla distinzione tra disposizione e norma e si parla di sentenze interpretative: sono quelle in cui il rigetto (interpretative di rigetto) o l'accoglimento (interpretative di accoglimento) dipende da quale norma, fra diverse possibili, la Corte ricava dal testo sottoposto al suo esame.
- Sentenza interpretativa di accoglimento. La Corte costituzionale giudica fondata la questione e dichiara l'illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, in quanto tra le molteplici norme che la disposizione è suscettibile di esprimere venga dato rilievo ad una di esse.
- Sentenza interpretativa di rigetto. La Corte ritiene infondata la questione di legittimità in quanto dalla disposizione impugnata dà rilievo ad una norma che elimina il dubbio di costituzionalità.
In sintesi: i due tipi di sentenze interpretative hanno entrambe uno schema comune, dato che implicano una duplice possibilità di decisione, perché da una stessa disposizione si possono ricavare (almeno) due norme alternative, una conforme a una in contrasto con la Costituzione. Nel caso dell'interpretativa di rigetto, la Corte salva il testo dell'atto legislativo impugnato dando rilievo alla norma conforme alla Costituzione; nel caso dell' interpretativa di accoglimento, invece, il giudice costituzionale ne dichiara l'illegittimità costituzionale dando rilievo alla norma contrastante con la Costituzione.
8.4. In base alla tecnica di incisione: le sentenze di accoglimento “manipolative”
Questa classificazione comprende solo sentenze di accoglimento, chiamate sentenze ad effetto manipolativo. Con “effetto manipolativo” si suggerisce il fatto che esse producono vere e proprie innovazioni nel sistema normativo: la Corte non si limita a eliminare la disposizione legislativa sottoposta al suo vaglio, ma la trasforma, la adegua, la integra. Questo tipo di sentenze ha suscitato perplessità fra gli studiosi e, soprattutto, ha talora causato difficoltà sia nei rapporti tra Corte e magistratura: la Corte sembra supplire al legislatore.
- Sentenze di accoglimento parziale (o ablative). La Corte accoglie la questione dichiarando illegittima:
- solo una parte della disposizione: la Corte riduce il testo di una prescrizione normativo limitatamente a determinate parole o comuni di un articolo (manipolazione sul testo di legge);
- uno dei possibili significati (norme) ricavabili da essa: la Corte dichiara illegittima solo di una di queste norme; il testo viene ridotto nel numero delle interpretazioni possibili (manipolazione sulle norme ricavabili dal testo).
- Sentenze sostitutive. Costituiscono un’ipotesi intermedia tra le parziali e le additive in quanto la Corte dichiara illegittima una certa norma, che viene eliminata (come nelle parziali), e contemporaneamente la sostituisce con un altra norma, che essa individua nella sentenza e aggiunge al testo (come nelle additive). Qui la Corte manipola il testo di legge, cancellando il significato incostituzionale ed aggiungendo un nuovo legittimo, colmando il vuoto che verrebbe a determinarsi.
- Sentenze additive o aggiuntive. Sono quelle decisioni che dichiararono illegittima una disposizione nella parte in cui non prevede una certa norma la cui esistenza è necessaria per rispettare la Costituzione, e che viene aggiunta al testo della Corte.
- Sentenze additive di principio. Questo tipo di indecisioni mitiga gli effetti delle additive semplici. La Corte vi ha fatto ricorso per limitare il rischio di toccare le prerogative del Parlamento (sostituirsi all’esercizio della funzione legislativa). Le additive di principio, infatti, si limitano ad individuare il principio generale in base al quale una certa materia va disciplinata: non impongono una disciplina specifica, immediatamente applicabile, ma lasciano al legislatore la possibilità di scegliere come attuare quel principio.
8.5. Le sentenze monito
Infine la Corte costituzionale talvolta, utilizza la motivazione delle sue decisioni per una sorta di dialogo con il legislatore, nel senso che vi include suggerimenti più o meno espliciti se non di specifiche soluzioni legislative, quanto meno di criteri in base ai quali elaborarle: si è parlato in casi del genere di sentenze monito, decisioni (per lo più di rigetto) che contengono anche auspici, sollecitazioni, indicazioni rivolti al Parlamento.
Infine la Corte costituzionale talvolta, utilizza la motivazione delle sue decisioni per una sorta di dialogo con il legislatore, nel senso che vi include suggerimenti più o meno espliciti se non di specifiche soluzioni legislative, quanto meno di criteri in base ai quali elaborarle: si è parlato in casi del genere di sentenze monito, decisioni (per lo più di rigetto) che contengono anche auspici, sollecitazioni, indicazioni rivolti al Parlamento.
9. I GIUDIZI SULLE LEGGI: GLI EFFETTI DELLA DICHIARAZIONE DI LEGITTIMITÀ
Le sentenze di accoglimento hanno una portata generale o obiettiva (erga omnes) che incide direttamente sul piano delle fonti del diritto. Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (art. 136.1 Cost). Inoltre, le decisioni della corte sono inoppugnabili (art. 137.3 Cost.), che pertanto costituiscono res iudicata irretrattabile.
L'art. 136.1 sembra indicare un’efficacia solo pro futuro delle decisioni d'incostituzionalità (al pari dell'effetto abrogativo nel rapporto fra leggi), nel senso che essa non si applicherebbe ai fatti sorti sulla base della legge impugnata prima della pubblicazione della sentenza della Corte. Tuttavia, l'art. 30.3 della l. 87/1953 precisa che “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisone”. Ne consegue che alla sentenza di incostituzionalità vanno riconosciuti alcuni limitati effetti retroattivi (in maniera analoga all'istituto dell'annullamento che colpisce un atto fin dalla sua origine): essa opera nei confronti di rapporti giuridici pendenti e non vale nei confronti di rapporti esauriti.
Si è di fronte a “rapporti esauriti” nel caso di:
- sentenza passata in giudicato, ossia quando una controversia giudiziari è stata definita con una decisione che non è più soggetta ad alcun mezzo d'impugnazione;
- nel caso di diritti estinti per prescrizione, ossia in regione dell'inerzia nell'esercizio di un diritto protrarsi per il tempo stabilito della legge;
- nel caso di decadenza dell'esercizio di un potere che ai, sensi della legislazione vigente, non può più essere fatto valere.
In tutti questi casi l'ordinamento tutela prima di ogni altro il valore della certezza del diritto connesso ai fenomeni del giudicato, della prescrizione e della decadenza.
Ma il principio di intangibilità del giudicato è derogato nell'ipotesi di sentenze penali di condanna, anche se irrevocabili. Allorché sia stata pronunciata una sentenza di questo tipo sulla base di una legge dichiarata in seguito costituzionalmente illegittima, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali. In questo caso, il principio della certezza dl diritto cede di fronte al superiore principio del favor libertatis
Ma il principio di intangibilità del giudicato è derogato nell'ipotesi di sentenze penali di condanna, anche se irrevocabili. Allorché sia stata pronunciata una sentenza di questo tipo sulla base di una legge dichiarata in seguito costituzionalmente illegittima, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali. In questo caso, il principio della certezza dl diritto cede di fronte al superiore principio del favor libertatis
A differenza di quanto è previsto in altri ordinamenti, non è consentito alla corte Costituzionale di disporre in ordine agli effetti nel tempo (sia per il passato sia per il futuro) delle proprie decisioni.
10. I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE: TIPOLOGIA
La Corte costituzionale giudica altresì sui “conflitti di attribuzione tra i poteri Stato e su quelli tra lo Stato e le regioni e tra le regioni” (art. 134 Cost.). Sul piano soggettivo, i conflitti possono classificarsi in due categorie:
- conflitti tra i poteri dello Stato, ossia tra i poteri appartenenti al medesimo soggetto (lo Stato), definiti conflitti interorganici;
- conflitti tra Stato e regioni o tra regioni, ossia tra soggetti costituzionali diversi e dotati di personalità giuridica distinta, definiti conflitti intersoggettivi.
Sul piano oggettivo, invece, il giudizio della Corte costituzionale concerne non già legittimità costituzionale di un atto legislativo come nel giudizio sulle leggi, bensì la delimitazione della sfera di attribuzioni costituzionalmente spettante agli organi e ai soggetti costituzionali. Il conflitto può avere per oggetto:
- la titolarità di una competenza che ciascun organo o soggetto in conflitto rivendica come propria (vindicatio potestatis);
- l’illegittimo esercizio di una competenza da parte di un organo o soggetto cui consegue la menomazione della sfera di attribuzione di altro organo o soggetto (cattivo uso del potere).
La Corte costituzionale risolve il conflitto stabilendo, nel primo caso, a chi spetta la titolarità della competenza, nel secondo caso, come essa deve essere esercitata.
Il reparto delle competenze può essere violato da un qualsiasi fatto o atto, posto in essere da un organo o da un soggetto costituzionale, sia commissivo (facere), sia omissivo (non facere). Quando è stato emanato un atto formale viziato da incompetenza la Corte lo annulla contestualmente alla dichiarazione sulla titolarità o sul modo di esercizio delle attribuzioni in contestazione. In ogni caso il conflitto presuppone un atto, un comportamento, una dichiarazione, un'omissione di un organo o di un soggetto dai quali possa conseguire una lesione in concreto alle attribuzioni di un altro organo o soggetto, sicché la parte lesa, per poter attivare il giudizio della Corte, deve avere interesse a ricorrere, ossia l'interesse ad ottenere una pronuncia nel merito di una controversia attuale. La sussistenza dell'interesse ad agire è condizione necessaria e sufficiente a conferire al conflitto gli indispensabili caratteri della concretezza e dell'attualità. A questo fine è necessario che il ricorrente alleghi fatti costitutivi e le ragioni del conflitto.
Il reparto delle competenze può essere violato da un qualsiasi fatto o atto, posto in essere da un organo o da un soggetto costituzionale, sia commissivo (facere), sia omissivo (non facere). Quando è stato emanato un atto formale viziato da incompetenza la Corte lo annulla contestualmente alla dichiarazione sulla titolarità o sul modo di esercizio delle attribuzioni in contestazione. In ogni caso il conflitto presuppone un atto, un comportamento, una dichiarazione, un'omissione di un organo o di un soggetto dai quali possa conseguire una lesione in concreto alle attribuzioni di un altro organo o soggetto, sicché la parte lesa, per poter attivare il giudizio della Corte, deve avere interesse a ricorrere, ossia l'interesse ad ottenere una pronuncia nel merito di una controversia attuale. La sussistenza dell'interesse ad agire è condizione necessaria e sufficiente a conferire al conflitto gli indispensabili caratteri della concretezza e dell'attualità. A questo fine è necessario che il ricorrente alleghi fatti costitutivi e le ragioni del conflitto.
Ogni tipo di conflitto da luogo a un giudizio di parti, cioè un giudizio che si instaura e si mantiene fino a decisione, per esclusiva iniziativa di parte. I conflitti di attribuzione si estinguono quindi per effetto della rinuncia del ricorrente accettata dal resistente.
11. I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA I POTERI DELLO STATO
Il conflitto tra poteri dello Stato è risolto dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali. Così la legge distingue i conflitti costituzionali dai conflitti che attengono alla delimitazione della giurisdizione ordinaria e delle giurisdizioni speciali, i quali sono regolati dalle sezioni unite della Corte di cassazione
È possibile distinguere:
- i conflitti tra poteri: riguardano organi costituzionali superiorem non recognoscentes, e per tale ragione sono affidati al giudizio della Corte costituzionale quale organo di garanzia super partes;
- i conflitti di competenza tra organi all’interno dello stesso potere: sono quelli la cui risoluzione è affidata ad organi appartenenti al medesimo potere.
Nei conflitti fra i poteri dello Stato, le parti del conflitto sono non predeterminate. La determinazione è affidata alla Corte costituzionale. Essa deve stabilire in via preliminare (giudizio preventivo di ammissibilità del conflitto) se esiste “materia del conflitto”, individuando quali sono i poteri dello Stato (profilo soggettivo) e quali sono le attribuzioni la cui tutela può essere invocata innanzi al giudice costituzionale (profilo oggettivo).
1. Profilo soggettivo
Sotto il profilo soggettivo non è sufficiente far riferimento alla teoria della separazione dei poteri e individuare le parti del conflitto nei tradizionali poteri legislativo, esecutivo, giudiziario. Diventa decisivo il criterio fissato dalla legge: i poteri sono gli organi competenti a dichiarare in via definitiva la volontà dei poteri cui appartengono, ossia gli organi costituzionali che, all’interno di un determinato potere, sono abilitati a produrre decisioni autonome e indipendenti, tali da impegnare l’intero potere cui appartengono.
Potere legislativo. All’interno del potere legislativo, decisioni impegnative dell’intero potere possono essere prese da:
- Camera dei deputati;
- Senato della Repubblica;
- commissioni in sede deliberante;
- commissioni parlamentari d’inchiesta;
- commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;
- alcuni ritengono anche i singoli parlamentari, ma la Corte ha sempre escluso che questo costituisca un organo-potere.
Potere esecutivo. Nell’ambito del potere esecutivo il ruolo vertice spetta al governo nella sua interezza. Altri organi che possono manifestare la volontà dell’esecutivo sono:
- il Presidente del Consiglio dei ministri;
- il ministro della giustizia (in relazione alle competenze afferenti al proprio dicastero e alla titolarità dell’azione disciplinare contro i magistrati);
- gli altri ministri non sono legittimati salvo i casi in cui la responsabilità individuale per gli atti dei rispettivi dicasteri sia fatta valere dalle Camere con mozione di sfiducia individuale che non coinvolga l’indirizzo politico dell’intero governo.
Potere giurisdizionale. La situazione per questo potere è più complessa poiché l’ordine giudiziario non è organizzato gerarchicamente. Sono inclusi:
- la Corte dei conti (nell’esercizio della funzione di giurisdizione contabile e come potere diffuso, sicché ogni giudice che pronuncia sentenze che possono diventare definitive, può con ciò impegnare l’intero potere cui appartiene, configurandosi come organo-potere);
- ciascun giudice (per la tutela della funzione giurisdizionale);
- pubblico ministero (quanto all’esercizio dell’azione penale ex art. 112 Cost.);
- il “tribunale dei ministri”, collegio inquirente nei procedimenti per i reati ministeriali ex art. 96 Cost.;
- il Csm (in relazione alle sue attribuzioni riguardanti lo status dei magistrati).
Poteri dello Stato sono altresì quegli organi in quanto dotati di attribuzioni costituzionali proprie, sono qualificati come “poteri-organo”: il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Vengono anche considerati gli elettori firmatari di una richiesta di referendum abrogativo ex art. 75 Cost. istituzionalmente rappresentanti dal comitato promotore.
2. Profilo oggettivo
Sotto il profilo oggettivo, i conflitti tra poteri riguardano attribuzioni determinate da norme costituzionali. Non qualsiasi attribuzione può essere tutelata innanzi alla Corte, ma solamente quelle costituzionalmente rilevanti (anche se non espresse formalmente da disposizioni costituzionali, sono tali da integrare e sviluppare il quadro organizzativo della Costituzione: si dice che hanno tono costituzionale).
La Corte costituzionale ha anche ammesso il conflitto tra poteri per atti legislativi. Esiste la possibilità di sollevare conflitto tra poteri in relazione all’adozione di un atto legislativo tutte le volte in cui lo strumento del conflitto costituisce, rispetto al giudizio di legittimità, un mezzo di tutela immediato ed efficace, specialmente quando siano in gioco diritti fondamentali (la Corte quindi opera nella giurisdizione costituzionale sui conflitti, e non nella giurisdizione sulla legittimità delle leggi). La Corte ha esteso il conflitto tra poteri a tutti gli atti legislativi, stabilendo che giudizio di legittimità e conflitto tra poteri costituiscono mezzi concorrenti di tutela più immediato ed efficace, specialmente quando siano in gioco diritti fondamentali.
Successivamente la Corte ha esteso il conflitto tra i poteri a tutti gli atti legislativi, stabilendo che giudizio di legittimità e conflitto tra poteri costituiscono mezzi concorrenti di tutela: il primo con valore generale, il secondo come mezzo di tutela residuale, attivabile quando non sussista altra possibilità.
Il giudizio innanzi alla Corte costituzionale si divide in due fasi:
- il giudizio preliminare sull’ammissibilità del conflitto, che si apre su ricorso dell’organo interessato senza termine di decadenza, ed è diretto ad accertare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, se prima facie sussiste materia di conflitto sotto i profili soggettivo e oggettivo; l’ordinanza che dichiara ammissibile il conflitto, tuttavia, non precostituisce il giudizio nel merito, ne preclude che la Corte possa ribaltare anche questa valutazione di ammissibilità; con la stessa ordinanza la Corte dispone la notificazione agli organi interessati la cui costituzione in giudizio è condizione di procedibilità nel merito.
- il giudizio nel merito, che si svolge tra le parti prefigurate dall’ordinanza di ammissibilità; la Corte, previa nuova valutazione di ammissibilità, risolve il conflitto dichiarando il potere al quale spettano le attribuzioni contestate e, ove sia stato emanato un atto, lo annulla con sentenza.
12. I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA STATO E REGIONI
A differenza dei conflitti interorganici, nei conflitti intersoggettivi il giudizio è tra parti determinate: lo Stato e le regioni. Lo Stato e le regioni possono ricorrere per la tutela di attribuzioni costituzionalmente rilevanti, stabilite non solamente da norme costituzionali, ma anche dagli statuti regionali, dai decreti legislativi di attuazione degli statuti delle regioni speciali, nonché dai decreti legislativi di trasferimento delle funzioni dello Stato alle regioni.
Al di fuori degli atti legislativi, qualsiasi atto è idoneo a determinare materia di conflitto purché sia tale da comportare una lesione in concreto di attribuzioni costituzionalmente rilevanti: atti politici, regolamenti, atti amministrativi, dichiarazioni, comunicazioni, sentenze, note. Il ricorso deve indicare come sorge il conflitto di attribuzione e specificare l’atto dal quale sarebbe stata invasa la competenza, nonché le disposizioni della Costituzione e delle leggi costituzionali che si ritengono inviolate. Può contenere anche la richiesta di sospensiva dell’atto stesso, qualora ricorrano il fumus boni iuris (vi è almeno la verosimiglianza del diritto ancorché la sua esistenza debba ancora essere accertata) e il periculum in mora (il rischio che i tempi del procedimento possano rendere vana la decisione se non si interviene a titolo appunto cautelare). La Corte decide con ordinanza sulla richiesta sospensiva, con sentenza sul merito della controversia, eventualmente annullando l’atto invasivo.
13. IL GIUDIZIO SULLE ACCUSE (RINVIO CAP. 12)
Alla Corte è attribuita la delicatissima funzione di giudicare delle accuse mosse dal Parlamento in seduta comune al presidente della Repubblica in base all’art. 90 Cost. Va ricordata la composizione integrata della Corte nel giudizio successivo all’accusa parlamentare: questa integrazione potrebbe in astratto permettere che la decisione finale sia presa dai membri laici (16), se tutti concordi fra loro, anche contro l’opinione dei giudici costituzionali (15), quasi a garantire comunque la prevalenza di un giudizio politico.
- IL GIUDIZIO DI AMMISSIBILITÀ DEL REFERENDUM ABROGATIVO (RINVIO CAP. 10)
Spetta alla Corte costituzionale giudicare se le richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell’art. 75 Cost. siano ammissibili. Il suo compito non è giudicare la conformità della legge del processo referendario (che spetta invece all’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione), ma accertare che la richiesta non incorre in uno dei limiti di ammissibilità stabiliti dalla Costituzione e dalla giurisprudenza della Corte.
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