giovedì 5 settembre 2013

CAP. 11 - IL PARLAMENTO


CAP. 11 - IL PARLAMENTO

1. ALLE ORIGINI DEI PARLAMENTI (rinvio a “I parlamenti” di A. Barbera)
Oltre ottocento anni fa i “primi parlamenti” erano riunioni di baroni e nobili, allora gli unici immaginabili interlocutori del re. Si trattava di incontri occasionali, senza periodicità né durate definite, e all’inizio senza garanzie per chi vi partecipava. La trasformazione di queste assemblee in qualcosa di vagamente simile a ciò che noi conosciamo avvenne dapprima in Inghilterra e durò vari secoli. Essa fu segnata dalla successiva conquista: a) i guarentigie per i membri dell’assemblea; b) del potere di liberarsi dei funzionari del re colpevoli di qualche misfatto ai loro danni; c) della garanzia di essere convocati periodicamente; d) del diritto di autoconvocarsi; e) del potere di stabilire di quali materie trattare. Quando il parlamento inglese conquistò il potere di stabilire l’ordine di successione al trono (Act of Settlement, 1701: dopo la Glorious Revolution vengono chiamati a governare gli Hannover, casata teutonica), questa può essere considerata la nascita del parlamento moderno che si proclamava sovrano. Già da tre secoli in Inghilterra esso si era diviso in due camere assumendo carattere bicamerale: da una parte i conti, vescovi e i titolari di antiche baronie (House of Lords); dall’altra i rappresentanti delle città, poi della borghesia (House of Commons).
Nel corso del Settecento il parlamento inglese affermò poco a poco un suo potere fondamentale, quello di influire sulla scelta, da parte del re, dei ministri e in particolare del primo ministro (acquisizione del potere di condizionare l’esecutivo). Fino a buona parte dell’Ottocento, si trattò pur sempre della rappresentanza di una parte limitatissima della società; ma nel XX secolo l’allargamento arrivò con il suffragio universale: prima solo maschile, poi femminile. Tutto ciò portò alla definitiva preminenza della Camera dei Comuni, dovuta proprio alla sua maggiore capacità rappresentativa, definitivamente sancita dal Parliament Act del 1911 che ridimensionò il ruolo della Camera dei Lord.

La capacità di rappresentare la società si rivelò presto difficile a conciliarsi con un’altra funzione: quella dell’esecutivo. L’esecutivo si era fino ad allora storicamente identificato con il re: i parlamenti tra Sette e Ottocento avevano affermato il proprio ruolo in conflitto costante con il governo del re. Ciò spiega la tendenza in questo periodo a concepire in modo rigido la separazione dei poteri: serviva a evitare che i ministri di sua potessero condizionare troppo i rappresentanti della nazione. Ma poi, come si è visto, a partire dall’Inghilterra, i parlamenti affermarono tutti il potere di influire sulla formazione dell’esecutivo, attraverso il meccanismo caratteristico delle forme di governo parlamentari: il rapporti fiduciario.
Il suffragio universale, la democratizzazione delle istituzioni, il ruolo assunto dai partiti politici, tuttavia, finirono col di ridimensionare il ruolo delle assemblee rappresentative e la loro capacità di essere davvero la sede che decide le sorti del governo. Queste passarono in parte nelle mani dei partiti, in parte in quelle dei cittadini elettori. In questo modo il governo, di fatto, diventò il “comitato direttivo” in grado di guidare l’attività del parlamento: stabiliva cosa dovesse fare, dettandone l’ordine del giorno, e come, imponendo le proprie proposte e permettendo, al più, ai parlamentari della sua maggioranza un’azione di integrazione e correzione.
L’affermarsi dello stato costituzionale, caratterizzato da una costituzione rigida e dal controllo di costituzionalità, limitava il potere normativo del parlamento che non poté più dirsi sovrano. 

2. IL PARLAMENTO ITALIANO FINO ALLA COSTITUENTE
Il nostro parlamento è diretto erede del Parlamento dell’Italia monarchica. Quello statutario era un parlamento bicamerale costituito di una camera sede della rappresentanza nazionale (la Camera dei deputati, caratterizzata per molti decenni da un suffragio particolarmente ristretto: il 2% della popolazione fino al 1882, 8% fino al 1913) e di una camera tutta di nomina regia (il Senato, i cui membri erano nominati a vita: nell’esperienza del bicameralismo una delle due camere fu sempre espressione monarchica). 
Il bicameralismo pensato nello Statuto del Regno di Sardegna era stato pensato come bicameralismo differenziato (i due rami avevano funzioni in parte diversificate, oltre a essere formati in modo radicalmente diverso), ma anche tendenzialmente paritario, senza ciò che uno dovesse prevalere sull’altro. Tuttavia, fu sempre alla Camera dei Deputati che i governi si rivolsero per ottenere sostegno pubblico, sin dagli esordi dell’esperienza statutaria; e fu dunque con essa sola che essi instaurarono il rapporto fiduciario, mentre il Senato non poteva determinare la cessazione delle funzioni delle esecutivo (secondo la formula “il Senato non fa crisi”). Del resto spesso i senatori erano nominati dal re su consiglio del governo che miravano a periodiche iniezioni di uomini di stretta fiducia governativa. Sicché, il bicameralismo statutario, fu essenzialmente non paritario e diseguale (oltre che differenziato).
Durante il fascismo il Parlamento conobbe prima l’asservimento al “capo del governo” e al Partito Nazionale Fascista, poi la soppressione della Camera dei deputati, trasformata in Camera dei Fasci e delle Corporazioni, organo non più espressione del corpo elettorale ma di nomina governativa e partitica.
Quando all’Assemblea costituente si pose la questione di come organizzare il futuro parlamento, alcune forze politiche, convinte di rompere l’accentramento politico-amministrativo che aveva caratterizzato lo Stato liberale, riteneva che una delle due camere dovesse diventare la sede di rappresentanza delle nuove autonomie territoriali. Altre forze, invece, ritenevano che sede della rappresentanza potesse essere una sola camera. C’erano preoccupazioni e aspettative diverse. I comunisti non volevano un bicameralismo che fosse di intralcio a incisive trasformazioni del sistema economico-sociale; i democristiani volevano in ogni caso una suddivisione della rappresentanza in due rami diversi capaci di controllarsi l’un l’altro, anche grazie a un processo legislativo più ponderato
Una sola cosa era pacifica: il Senato del Regno era scomparso per sempre dopo il referendum del 2 giugno 1946. Per il resto, gli uni volevano un parlamento monocamerale, gli altri un parlamento ancora bicamerale, i quali a loro volta si dividevano in chi voleva una rappresentanza territoriale, chi un rappresentanza di interessi di determinate categorie.
Il compromesso fu raggiunto dando ragione a coloro che volevano due camere.  Nella configurazione del Senato si venne incontro, in modestissima misura, sia ai fautori della rappresentanza su base regionale, sia coloro che ne volevano fare un’assemblea di riflessione, sia a coloro che volevano eleggerlo col sistema dei collegi uninominali.
Se entrambe le camere avrebbero dovuto essere espressione della volontà del popolo, allora esse dovevano avere le medesime funzioni. Così si spiega la natura di bicameralismo paritario e indifferenziato (a parte l’iniziale diversa durata di carica, parificati inizialmente con due scioglimenti “tecnici”, poi con la revisione costituzionale del 1963 sull’art. 60 Cost.).
La natura paritaria delle due Camere potrebbe essere discussa anche alla luce del principio democratico, infatti, il Senato non solo ha un piccolo numero di senatori che non sono elettivi, ma soprattutto presenta una restrizione per l’elettorato attivo (sono necessari 25 anni). Per eleggere il Senato hanno titolo a concorrere oggi circa 45 milioni di cittadini contro i 50 milioni che costituiscono l’elettorato attivo della Camera.
La Costituzione previde anche alcune limitate funzioni, ma non marginali, che le due Camere avrebbero dovuto assolvere insieme riunite in seduta comune.
3. COME È COMPOSTO IL PARLAMENTO ITALIANO
Il Parlamento italiano è un organo costituzionale complesso perché formato da due Camere: la Camera dei deputati che consta di 630 componenti, tutti eletti dai cittadini maggiorenni e il Senato della Repubblica che consta di 315 componenti eletti dai cittadini che abbiano compiuto 25 anni, più un ristretto numero di senatori a vita, di cui 5 di nominati dal Presidente della Repubblica “per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario” e tutti coloro che siano stati presidenti della Repubblica, salvo rinuncia (artt. 55-59 Cost.).
L’elezione avviene a suffragio universale (il diritto di voto è riconosciuto a tutti i cittadini) e diretto (devono ritenersi escluse forme di elezioni di secondo grado: assemblee elette dai cittadini non direttamente).
Per quanto riguarda l’elettorato passivo, possono essere eletti tutti i cittadini che abbiano compiuto nel giorno delle elezioni i 25 anni per la Camera dei deputati e 40 anni per il Senato della Repubblica, e che siano, elettori (non abbiano una limitazione al diritto di voto).
La legge ex art. 65.1 della Cost. prevede casi di:
  1. incompatibilità: la legge vieta di detenere contemporaneamente due cariche. Le incompatibilità parlamentari in senso stretto consistono in tutte le cariche o le funzioni che il parlamentare non può ricoprire nel corso del suo mandato (l. 60/1953). Alcune sono stabilite dalla Costituzione stessa (art. 65.2 per i componenti dell’altra camera, art. 122.2 per i componenti dei consigli e delle giunte regionali). Incompatibili sono anche le cariche di deputato o senatore e parlamentare europeo (l. 78/2004). Qualora si verificasse un caso di incompatibilità, non si arriva all'annullamento dell'elezione, ma solo alla scelta dell'eletto a optare per una o l'altra carica.
  2. ineleggibilità: il cittadino, in ragione della carica o dell’ufficio che ricopre al momento della candidatura o che aveva ricoperto entro termini stabiliti dalla legge, non può essere eletto. Nel caso sia candidato la pena è l’annullamento dell'elezione. I casi di ineleggibilità sono contenuti nel d.p.r. 361/1957. Fra gli ineleggibili sono presenti: presidenti di provincia; sindaci di comuni oltre i 20.000 abitanti; capo e vicecapo della Polizia di stato; capi di gabinetto di ministri; prefetti e viceprefetti; funzionari di polizia; ufficiali superiori delle forze armate; diplomatici; rappresentanti e amministratori di società sussidiate dallo Stato e volte al profitto; magistrati, a meno che non si trovino in aspettativa. La Corte Costituzionale (sent. 277/2011) è intervenuta dichiarando illegittima la prassi parlamentare più recente di consentire il cumulo dei mandati per i casi di ineleggibilità sopravvenuta. 
  3. incandidabilità: situazione di coloro la cui candidatura non può essere accettata dagli uffici elettorali.
Quanto ai senatori a vita, essi hanno inciso poco, fino a tempi recenti. La durata della carica presidenziale che è di 7 anni e il fatto che può essere eletto solo chi abbia compiuto 50 anni fa si che i senatori ex presidenti della Repubblica siano pochi. Quanto a quelli di nomina presidenziale, l’art. 59 Cost. è stato interpretato nel senso che essi devono essere in tutto cinque, e non che ciascun presidente durante il proprio mandato ne possa comunque nominare cinque (prassi seguita sempre tranne da Pertini e Cossiga).
I 12 deputati e i 6 senatori eletti nelle circoscrizioni estero rappresentano i cittadini che non risiedono in Italia. Si è inteso rendere effettivo quel diritto al voto che, in quanto cittadini, i residenti all’estero avevano sempre avuto, ma difficilmente potevano esercitare a causa della necessità di sottoporsi a un viaggio spesso oneroso. In compenso si è pensato di “isolare” questi elettori evitando che i loro voti confluissero con quelli residenti nel territorio nazionale. Inoltre la l. 459/2001 ha previsto che solo chi risiede e vota all’estero può essere candidato alle cariche delle circoscrizioni estero.

4. LA DURATA IN CARICA
Le Camere durano in carica 5 anni e non possono essere prorogate se non per legge nel sono caso in cui il paese sia in stato di guerra (art. 60 Cost.); tale previsione va letta assieme all’art. 78 Cost. il quale attribuisce alle Camere stesse il potere di deliberare lo stato di guerra (non è chiaramente sufficiente un intervento armato come un delle frequenti operazioni intraprese dall’Italia con le Nazioni Unite).
I poteri delle Camere, peraltro, sono prorogati fino al momento in cui non si riuniscono le nuove camere: ciò per garantire la continuità nell’esercizio delle funzioni parlamentari (art. 61 Cost.: la prima riunione deve avvenire entro 20 giorni dalle elezioni, le quali a loro volta devono avvenire non oltre 70 giorni dalla cessazione delle precedenti Camere, ma in base alla legge elettorale non prima di 45 giorni). Allora si distingue tra prorogatio e proroga:
  • la prorogatio è l'istituto per il quale i titolari degli organi possono continuare ad esercitare le loro funzioni nonostante la scadenza del termine del loro mandato, in attesa della nomina o elezione dei successori. Si tratta di un istituto già conosciuto dal diritto romano, il cui scopo è evitare che il ritardo nel rinnovo di un organo pregiudichi la continuità di funzionamento dello stesso.
  • la proroga consiste nello spostamento in avanti di un termine disposto per legge.
Una o entrambe le Camere possono essere sciolte in anticipo (art. 88 Cost.) dal presidente della Repubblica, sentiti i presidenti della rispettive Camere.

5. IL PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE
Il Parlamento in seduta comune, formato dai membri delle due camere, si riunisce sempre nell’aula della Camera dei deputati, ai soli scopi già definiti in Costituzione (art. 55.2). Le funzioni affidate al Parlamento in seduta comune sono quasi esclusivamente elettive. Il Parlamento in seduta comune:
  1. elegge, con il concorso dei delegati regionali, il presidente della Repubblica (art. 83.1 e 2 Cost.) e assiste al suo giuramento (art. 91 Cost.); lo può mettere in stato di accusa (art. 90.2 Cost.);
  2. elegge un terzo dei componenti del Consiglio superiore della magistratura (art. 104.4 Cost.);
  3. elegge un terzo dei componenti della Corte costituzionale (art. 135.1 Cost.), nonché i 45 cittadini fra i quali estrarre i 16 giudici aggregati ai fini del giudizio d’accusa contro il presidente della Repubblica (art. 135.7 Cost.)
Il Parlamento in seduta comune è presieduto dal presidente della Camera. È sempre il Presidente della Camera a indire l’elezione del nuovo presidente della Repubblica (artt. 85.2 e 86.2 Cost.). Ciò non comporta preminenza di un ramo del Parlamento sull’altro, ma risponde forse alla volontà del costituente di sottolineare l’equilibrio fra i due organi, stante il fatto che supplente del presidente della Repubblica è il presidente del Senato (art. 86.1 Cost.). Nelle riunioni, il peso della Camera dei deputati si accentua, dal momento che due componenti su tre del Parlamento in seduta comune sono per l’appunto deputati. Questa è una delle ragioni aggiuntive che spiegano perché l’organo vota sempre e solo a maggioranza qualificata.

6. ORGANIZZAZIONE E FUNZIONAMENTO DELLE DUE CAMERE
L’organizzazione e il funzionamento delle due Camere sono disciplinati da fonti costituzionali e da fonti di autonomia parlamentare: il complesso di tali disposizioni, nonché delle consuetudini e delle prassi instauratesi, costituiscono quella branca del diritto costituzionale che va sotto il nome di diritto parlamentare
Le regole fondamentali del diritto parlamentare sono stabilite dalla Costituzione:
  • ciascuna camera elegge fra i suoi componenti presidente e ufficio presidenza (art. 63.1 Cost.);
  • ciascuna camera adotta il proprio regolamento e lo fa a maggioranza assoluta dei propri componenti (art. 64.1 Cost.): si garantisce così l’autonomia della Camera nei confronti del Senato e viceversa e si sottolinea l’opportunità che le regole parlamentari siano condivise da un numero di deputati o senatori più ampio di quello che è richiesto per le decisioni ordinarie. Nel rispetto di quanto direttamente disposto dalla Costituzione, organizzazione e funzionamento di ciascuna camera sono oggetto di una riserva di regolamento parlamentare; i regolamenti parlamentari vigenti risalgono entrambi al 1971, a numerose sono state le modifiche successive.
  • le sedute sono sempre pubbliche, a meno che non sia deliberata la seduta segreta (art. 64.2 Cost., ma esse sono rarissime). Per ogni seduta vengono redatti un processo verbale e i resoconti sia in forma sintetica (sommari) sia in forma integrale (stenografici), che sono immediatamente disponibili sui siti Internet delle Camere.
  • le decisioni di norma assunte con il voto favorevole della maggioranza dei presenti (quorum funzionale) purché sia presente la maggioranza dei componenti di ciascuna assemblea (quorum strutturale, numero legale, art. 64.3 Cost.), salvo congedi autorizzati. Il quorum funzionale per l’approvazione di una proposta è quello della maggioranza semplice, costituita dalla metà più uno di coloro che votano, salvo che la Costituzione preveda una maggioranza più ampia, cioè una maggioranza qualificata. La più piccola delle maggioranza qualificate è quella assoluta, costituita dalla metà più uno non di coloro che votano, ma di coloro che compongono il collegio. Alla Camera coloro che, presenti, dichiarino di astenersi non vengono considerati al fine di stabilire se il quorum funzionale è stato raggiunto: mentre al Senato sì, per cui mentre alla Camera gli astenuti concorrono a formare il quorum strutturale, ma non quello funzionale, al Senato vengono considerati per calcolare sia l’uno sia l’altro, con l’effetto che astenersi è come votare contro. In altre parole, al Senato una deliberazione è adottata se raggiunge la maggioranza di coloro che partecipano al voto, astenuti compresi. E quindi i senatori che volendosi astenere non vogliono però influire sulla votazione devono necessariamente assentarsi dall’aula.
  • i componenti del governo hanno diritto di assistere alle sedute e di essere ascoltati ogni volta che lo richiedano; hanno l’obbligo altresì di farlo se richiesti, secondo le regole classiche dei regimi parlamentari fondati sul rapporto fiduciario (art. 64.4 Cost.).

7. LO STATUS GIURIDICO DEI PARLAMENTARI
La Costituzione disciplina il complesso dei diritti e dei doveri che formano il nucleo dello specifico status giuridico dei parlamentari.
  • Non si può appartenere a entrambe le Camere (art. 65.2 Cost.).
  • I titoli in base ai quali una persona diventa parlamentare e il sopraggiungere il corso del mandato di cause di ineleggibilità o incompatibilità sono giudicati dalle stesse Camere, ciascuna per i propri membri (verifica dei poteri, art. 66 Cost.).
  • Ogni parlamentare rappresenta l’intera nazione ed esercita le sua funzione senza rispondere ad altri che alla propria coscienza. L’esclusione di vincoli di mandato (art. 67 Cost.) è una di quelle previsioni ereditate dall’epoca classica del costituzionalismo, quando si voleva affermare il superamento della divisione della società in classi e corporazioni. Essa acquistò una valenza diversa con la nascita del partito politico di massa, strumento di rappresentanza democratica di tutto il popolo, e con l’organizzazione delle assemblee in gruppi parlamentari corrispondenti ai partiti politici presenti nella società, in grado, al momento del voto, di controllare le candidature e dunque di condizionare l’atteggiamento del singolo parlamentare.
  • Ogni parlamentare riceve un’indennità stabilita per legge (art. 69 Cost.), come in tutte le moderne assemblee rappresentative, ma a differenza di quelle dello stato monoclasse ottocentesco che respingeva l’idea stessa del professionismo politico. La misura dell’indennità è stabilita dall’ufficio di presidenza di ciascuna camera, entro un tetto che per legge è lo stipendio dei magistrati con funzioni di presidenze di sezione della Corte di cassazione. A essa si aggiungono svariati benefici (viaggi gratuiti, assistente parlamentare, diaria per il soggiorno a Roma, assegno di reinserimento a fine mandato, trattamento pensionistico basato sul sistema contributivo che dal 2012 ha sostituito il vitalizio).
  • Ogni parlamentare gode di una serie di immunità (art. 68 Cost.). L’origine di queste prerogativa stava nel difendere i parlamentari dal potere regio. Oggi da un lato si vuole garantire il libero esercizio delle funzioni parlamentari, dall’altro evitare il rischio di prevaricazioni da parte del potere giudiziario. Le immunità si distinguono in:
  1. insindacabilità (ex art. 68.1); per come votano e per ciò che dicono “nell’esercizio delle loro funzioni”, i parlamentari non possono essere in alcun modo chiamati a rispondere; ove sorga contestazione nel corso di un processo, il giudice ha l’obbligo di sospenderlo per chiedere alla camera di appartenenza se, nella circostanza, si applichi l’art. 68.1;
  2. inviolabilità (ex art. 68.2 e 3): i parlamentari non possono subire alcuna forma di limitazione della libertà personale, a meno che la camera di appartenenza non la autorizzi. Al riguardo esistono però eccezioni: 1) il caso in cui il parlamentare sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale l’arresto in flagranza è obbligatorio; 2) il caso in cui abbia subito una condanna passata in giudicato. Fino al 1993 era necessaria un’autorizzazione anche solo per procedere contro un parlamentare (ora il magistrato procede contro un parlamentare come contro qualsiasi altro cittadino).
  • Conflitti di attribuzione fra magistrature e Camere sono insorti in ordine alla questione di come si debba interpretare l’espressione “nell’esercizio delle loro funzioni” relativamente alla prerogativa dell’insindacabilità delle opinioni espresse. La tendenza delle due Camere è sempre stata estensiva (“nell’esercizio delle loro funzioni” poteva giustificare anche l’eventuale lesione di dignità altrui in televisione, ad esempio). Ma la Corte costituzionale, a partire dalle sentt. 10 e 11/2000, ha adottato una giurisprudenza più restrittiva, secondo la quale deve esistere un “nesso funzionale” fra attività parlamentare e cose dette o scritte fuori dalle Camere e questo si realizza solo quando queste costituiscano la riproduzione di atti tipici o interventi parlamentari. Secondo la Corte, le prerogative dei membri del Parlamento non sono un privilegio personale ma sono funzionali alla tutela dell’autonomia e della libertà di ciascuna camera (sent. 120/2004).

8. GLI ORGANI DELLE CAMERE
  • Il presidente dell’assemblea ha il compito di rappresentare all’esterno la camera e di assicurare sia il corretto e ordinato svolgimento dei suoi lavori sia il buon andamento dell’amministrazione interna; fa osservare il regolamento e dirige le sedute (dà la parola, mantiene l’ordine, annuncia l’esito ecc.); è coadiuvato da alcuni vicepresidenti e, per le funzioni amministrative, dai questori; per il processo verbale è assistito dai segretari. Il presidente è eletto a maggioranza qualificata e la presidenza è stata interpretata, sia pure con eccezioni, come magistratura imparziale votata appunto al miglior funzionamento della camera. In epoca repubblicana, dal 1972 al 1994, si sono avuti presidenti eletti fra personalità del maggior partito di opposizione; questa prassi si è poi interrotta a partire dalla XII legislatura e il presidente è sempre stato un parlamentare della maggioranza, in considerazione dei suoi rilevanti poter sulla programmazione dei lavori.

  • L’ufficio di presidenza (al Senato consiglio di presidenza), composto in modo da rappresentare tutti i gruppi parlamentari, ha compiti amministrativi (delibera del progetto di bilancio, nomina il segretario generale), compiti attinenti alla disciplina interna (decide su eventuali sanzioni proposte dal presidente) e compiti di natura politico-organizzativa (decide in ordine alla formazione dei gruppi e sulla composizione delle commissioni). L’ufficio di presidenza ha potere normativo relativamente tutto ciò che riguarda l’amministrazione la contabilità e il bilancio degli interni (regolamenti minori).

  • La Conferenza dei presidenti dei gruppi (dei “capigruppo”) assiste il presidente in relazione a tutto ciò che riguarda lo svolgimento dei lavori dell’aula e delle commissioni. È composta dai presidenti di tutti i gruppi parlamentari e il governo può sempre inviarvi un proprio rappresentante. Decide il programma dei lavori, il calendario e l’ordine del giorno delle singole sedute. La conferenza delibera all’unanimità al Senato e a maggioranza qualificata dei tre quarti alla Camera. Nel caso in cui non sai in grado di decidere, provvede da solo il presidente, il quale deve però tenere conto di ciò che propongono il governo e la maggioranza, riservando nel contempo una quota di tempo a ciò che chiedono i gruppi di opposizione.

  • Alcuni organi collegiali svolgono funzioni specifiche:
  1. la giunta per il regolamento dà pareri al presidente quando si tratta di interpretare il regolamento e assolve a un fondamentale ruolo di proposta ai fini della sua modifica;
  2. la giunta delle elezioni svolge il lavoro istruttorio nei confronti dell’aula in ordine alle contestazioni contro la regolarità delle elezioni e alla verifica dei titoli e delle cause di ineleggibilità e incompatibilità degli eletti;
  3. la giunta delle autorizzazioni a procedere riferisce in ordine all’applicazione dell’art. 68 Cost. quando l’autorità giudiziaria richieda provvedimenti nei confronti di parlamentari;
  4. al Senato vi è un’unica giunta delle elezioni e delle immunità;
  5. alla Camera sola c’è un comitato per la legislazione a composizione paritetica maggioranza-opposizione ha il compito di esprimere pareri in ordine alla qualità, omogeneità, semplicità e chiarezza delle proposte in esame.

  • Le Commissioni permanenti, attualmente 14, suddivise in base all’oggetto della loro competenza (affari costituzionali, giustizia, affari esteri, difesa, bilancio, tesoro e programmazione, finanze, cultura, scienza e istruzione, ambiente, territorio e lavori pubblici, trasporti, poste e telecomunicazioni, attività produttive, commercio e turismo, lavoro, affari sociali, agricoltura, politiche dell’Ue), svolgono funzioni essenziali e costituzionalmente necessarie (art. 72.1 Cost.) ai fini del procedimento di formazione delle leggi, delle procedure di indirizzo, di controllo e di informazione. Tali funzioni possono attenere sia alla fase istruttoria sia all’intero procedimento (procedimento in sede redigente e deliberante). La composizione delle commissioni permanenti rispecchia la proporzione dei gruppi: ogni gruppo avrà in commissione un peso commisurato alla percentuale di parlamentari che a esso aderiscono (per il presidente di commissione invece il voto è limitato, vale a dire ciascun elettore vota per un numero di candidati inferiore ai posti disponibili, cosicché vengono eletti anche presidenti facenti parte dell’opposizioni). La presidenza della commissione ha notevole rilevanza perché è il presidente che la rappresenta e la convoca e, oltre a presiederla, ha il compito di riferire in assemblea: nella prassi l’interpretazione del ruolo ha sempre unito alla garanzia del buon andamento dei lavori e di spazi alle minoranze anche l’impegno all’attuazione del programma governativo.

  • Ciascuna Camera può inoltre istituire commissioni speciali o ad hoc con compiti specifici per istituire progetto particolarmente complessi. Ciascuna camera può altresì istituire commissioni d’inchiesta (art. 82 Cost.).

  • Infine, esistono numerose commissioni bicamerali, cioè costituite da un numero eguale di senatori e deputati, per svolgere funzioni che spettano a entrambi i rami del Parlamento evitando duplicazioni o dualismi. Due solo di queste sono previste in Costituzione o da legge costituzionale: la commissione per le questioni regionali (art. 126.1 Cost.) e il comitato per i procedimenti d’accusa. Le altre commissioni bicamerali sono istituite per legge e hanno carattere permanente o temporaneo.
1. Commissioni bicamerali permanenti:
  • Commissione per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;
  • Commissione per il controllo degli enti di previdenza e assistenza sociale;
  • Comitato di controllo dell’attuazione dell’Accordo di Schengen;
  • Commissione per l’infanzia e l’adolescenza;
  • Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica: composto da 5 senatori e 5 deputati, ci è affidata la funzione di controllo sui servizi segreti e sull’uso da parte del governo del segreto di stato, per legge presieduto da un parlamentare dell’opposizione.
  1. Commissioni bicamerali temporanee:
  • Commissioni d’inchiesta;
  • Commissioni consultive: (compito di esprimersi sugli schemi di decreti legislativi predisposti dal governo);
  • Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale.

  • Particolari sono i gruppi parlamentari, nati nel Parlamento italiano nel 1920, dopo l’introduzione della legge elettorale proporzionale, sono espressamente richiamati in Costituzione (artt. 72.3 e 82.2): sono lo strumento di organizzazione della presenza dei partiti politici all’interno delle Camere. Il numero minimo prescritto è di 20 deputati e 10 senatori. Il ruolo dei gruppi è stato esaltato dai regolamenti del 1971: sono i presidenti dei gruppi a far valere una serie di prerogative sull’andamento dei lavori e sui dibattiti; sono i gruppi a designare candidati quando si debba procedere a comporre altri organi (a partire dalle commissioni); è ai gruppi, prima che ai singoli, che le Camere riconoscono risorse. Ma è il tempo d’aula (facoltà d’intervenire), risorsa fondamentale, a essere ripartito fra i gruppi; inoltre, in alcune fasi del procedimento, relatori e governo a parte, interviene di norma un solo parlamentare per ogni gruppo, da questo designato: una parte assai limitata del tempo a disposizione è assegnata invece a coloro che intervengono a titolo personale.

9. LE FUNZIONI DELLE CAMERE
Il termine funzione può essere impiegato sia in senso strettamente tecnico-giuridico sia in senso lato istituzionale.
  1. Nel primo caso ci si riferisce a quei poteri che un organo ha il dovere di esercitare in vista del soddisfacimento di interessi non suoi propri, ma di terzi o dell’intera collettività. Con questa accezione la Costituzione affida alle Camere l’esercizio della funzione legislativa, alla quale non a caso dedica intera una delle due sezioni (13 articoli) del titolo sul Parlamento, espressamente attribuendola a entrambe.
  2. Nel secondo caso ci si riferisce più genericamente al ruolo che l’organo assume nell’ordinamento costituzionale, derivante dal complesso di poteri che gli sono attribuiti. Altre e non meno rilevanti funzioni del Parlamento derivano dal rapporto fiduciario (art. 94 Cost.) e da tutti i poteri che le Camere possono esercitare e tutte le facoltà di cui si possono avvalere, in base alla Costituzione e ai loro regolamenti, direttamente o indirettamente connesse sia all’esercizio della funzione legislativa sia al rapporto con il governo. Si parla così di funzione di indirizzo, di funzione di controllo, di funzione di informazione.

10. IL PROCEDIMENTO LEGISLATIVO
Il procedimento legislativo consta di diversi momenti o fasi:
  1. fase dell’iniziativa;
  2. fase dell’istruttoria;
  3. fase della deliberazione, o della votazione;
  4. fase della promulgazione;
  5. fase della pubblicazione.
La Costituzione parla a grandi linea del processo legislativo ma rimette i dettagli sulla materia al regolamento di ciascuna camera. 

  1. Iniziativa
Titolari dell’iniziativa sono: 
  1. il governo (art. 71.1 Cost.);
  2. ciascun membro del Parlamento (art. 71.1);
  3. il popolo mediante proposta firmata da almeno 50.000 elettori (art. 121.2 Cost.);
  4. il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, nell’ambito delle sue competenze specifiche (art. 99.2 Cost.);
  5. ciascun consiglio regionale (art. 121.2 Cost.).
L’art. 71.2 Cost. definisce il concetto di iniziativa: si propone un progetto di legge redatto in articoli inserito, quindi, in uno schema di una possibile legge futura. 
Mentre i parlamentari possono presentare proposte alla sola camera cui appartengono, gli altri titolari dell’iniziativa hanno facoltà di scelta senza limitazione alcuna. Spesso il governo tende a presentare le proprie proposte sulla base di un complesso di considerazioni di natura politica, nonché sulla base intese riservate coi gruppi parlamentari. Un elemento che può influenzarlo è anche l’affollamento del calendario di una delle due camere. Si definisce, così, la programmazione dei lavori parlamentari come quell’attività che permette di regolare i lavori futuri delle due camere: si procede con la redazione di un calendario articolato su settimane, o mesi, in cui si individua cosa fare e cosa discutere; viene deciso in base alle urgenze e alle priorità che si deve seguire e decide l’ufficio di presidenza, per la Camera dei Deputati, e il consiglio di presidenza, per il Senato della Repubblica. 

  1. Istruttoria
Una volta stilato il progetto di legge, viene consegnato dal presidente a una delle commissioni permanenti, chiaramente alla commissione competente nella materia del disegno di legge. Se il disegno incide su più materia, si decide in base alla prevalenza della materia che è incisa dal disegno stesso e si assegna a quella determinata commissione (le altre commissioni allora si limiteranno ad esprimere soltanto un parere). A volte in commissione si svolgono anche attività di audizione di esperti, giuristi, avvocati per avere consigli concreti e in materia.
Il ruolo delle commissioni dipende dal tipo di procedimento prescelto. Esistono tre diversi procedimenti:
  1. il procedimento normale o in sede referente è quello che attribuisce alla commissione un compito esclusivamente istruttorio, in vista del seguito in aula. Il presidente della commissione, o più spesso un relatore da lui nominato, riferisce sul progetto e la commissione, prima lo discute in via generale, poi lo esamina articolo per articolo, infine perviene un testo che invia all’assemblea, dando mandato al relatore di riferire sulla base di una relazione, la quale sono legati pareri delle altre commissioni.
  2. il procedimento misto o in sede redigente è quello che conferisce alla commissione il compito di formulare un testo semi-definitivo: cioè un testo che, approvato dalla commissione, l’aula voterà come tale senza possibilità di proporre, discutere e votare modifiche.
  3. il procedimento deliberante o in sede legislativa (art. 72.3 Cost.) è quello che attribuisce alla commissione il compito di esaminare e approvare disegni di legge, senza passare dall’assemblea. Tuttavia questo procedimento non è permesso qualora sì opponesse il governo oppure 1/10 dei componenti della camera o 1/5 di quelli della commissione competente. L’art. 72.4 Cost. esclude questo procedimento per alcune materie (costituzionale ed elettorale, delegazione legislativa, autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, bilanci) materie per le quali vi è riserva assemblea.

  1. Deliberazione, o votazione
Se il procedimento seguito è quello normale, sarà il momento della supervisione dell’assemblea sopra il disegno di legge (infatti la supervisione del testo non è garantita solo dalla commissione ma anche dall’assemblea). 
L’esame in assemblea del progetto di legge predisposto dalla commissione in sede referente, si sviluppa attraverso tre fasi:
  • la discussione generale, nel corso della quale deputati e senatori dibattono sull’opportunità di legiferare in materia;
  • l’esame e votazione articolo per articolo, nel corso della quale si discute e si vota, appunto, su ciascun articolo in cui il progetto è ripartito e sugli emendamenti presentati, cioè le proposte di modifica testo degli articoli. Possono proporre emendamenti tutti i titolari dell’iniziativa legislativa, entro i termini precedenti alla discussione finale dell’assemblea. Anche la commissione può proporre emendamenti: il relatore potrà proporre emendamenti e proclamarsi contrario o favorevole rispetto agli altri emendamenti. Per quanto riguarda la votazione pro/contro emendamento si parte sempre da i più incisivi (da quelli interamente soppressivi, interamente sostitutivi, meramente modificativo e così via). La votazione degli emendamenti è molto rapida, perché spesso gli emendamenti da votare sono tantissimi.
  • la votazione finale che decide le sorti del progetto. Si vota attraverso un procedimento elettronico, con tre pulsanti (a favore, astensione, contro). La maggioranza deve essere semplice (maggioranza dei presenti più uno). 
Se la votazione finale approva il disegno di legge, esso non sarà ancora valido finché non viene accolto nell’altro ramo del Parlamento con le stesse modalità. Ma se l’altro ramo del Parlamento approva un emendamento, la legge dovrà ritornare alla camera di provenienza. Qualsiasi modificazione comporta il ritorno alla camera che lo aveva approvato per prima, senza che vi sia alcuna procedura formale per interrompere questo “su e giù” che infatti si una chiamare con il termine francese navette, effetto che spesso determina l’arenarsi di disegni di leggi. 

  1. Promulgazione
Le leggi approvate devono essere promulgate dal Capo dello Stato (art. 73 Cost.). Egli ha dovrà promulgare la legge entro 30 giorni; ma se le camere decidessero che egli dovrà promulgarla in tempi più ristretti, il Presidente della Repubblica si dovrà rimettere alla loro decisione. Tuttavia, l’art. 74 Cost. sancisce che il Capo dello Stato possa porre un veto sospensivo e non deliberare una legge (nel caso, per esempio, di un sospetto di incostituzionalità), rinviandola così alle Camere chiedendo una nuova deliberazione. Se però il Parlamento rinvia nuovamente lo stesso testo della prima deliberazione, allora il Capo dello Stato sarà obbligato a promulgarlo. Spesso, però, il Parlamento prende atto del veto sospensivo del Capo dello Stato, e promuove una nuova e diversa promulgazione. 

5. Pubblicazione
Il disegno di legge sarà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale ed entrerà in vigore solo 15 giorni dopo la pubblicazione, lasso di tempo che prende il nome di vacatio legis.


11. I PROCEDIMENTI LEGISLATIVI SPECIALI E LEGGI ANNUALI
Le Camere prevedono procedimenti speciali, in qualche misura diversi da quello descritto, per alcuni oggetti:
  1. esame dei disegni di legge di conversione di decreti legge, scandito da termini particolarmente brevi e da drastici limiti alla facoltà di proporre emendamenti (devono essere strettamente attinenti all’oggetto);
  2. esame dei progetti di legge costituzionale (non sono emendabili in sede di seconda deliberazione);
  3. esame della legge di bilancio e della legge di stabilità, al quale è dedicata un’apposita sessione;
  4. esame della legge comunitaria.

La sessione di bilancio è un periodo di circa un mese e mezzo di ciascuna camera, durante il quale i lavori parlamentari sono finalizzati alla discussione e votazione della legge di stabilità e del bilancio di previsione in modo che siano approvati entro il 31 dicembre. La sessione di bilancio costituisce la fase finale del ciclo annuale di bilancio.
Il governo, entro il 10 aprile, sottopone alle Camere il documento di economia e finanza che fa il punto sulla situazione economico-finanziaria del paese e contiene la proposta di aggiornamento del programma di stabilità e del programma nazionale di riforma. Acquisite le deliberazioni parlamentari, il governo definisce il documento da inviare a Bruxelles entro aprile. Entro giugno è la volta del rendiconto generale dello Stato e dell’eventuale disegno di legge di assestamento per riportare, in caso appunto di scostamenti, i conti in linea con gli obiettivi. Entro luglio si pronunciano sul programma di stabilità e sul programma di riforma gli organi dell’Unione europea. Il governo entro il 20 settembre presenta la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza che fissa i nuovi obiettivi programmatici e recepisce le raccomandazioni approvate in sede europea. Il governo entro il 15 ottobre presenta sia il disegno di legge di bilancio sia il disegno di legge di stabilità. 
La legge di stabilità riporta i saldi già definiti e dispone in particolare l’eventuale aumento o riduzione dell’imposizione fiscale, i fondi destinati al rinnovo dei contratti pubblici, le misure correttive alle varie leggi di cui è necessario ridurre l’onere. La legge di stabilità non è diversa solo nel nome rispetto alla vecchia legge finanziaria: è un testo che dovrebbe essere assai più scarno, meno adatto a infilarci di tutto. Storicamente i cosiddetti “maxi-emendamenti” nacquero proprio in occasione dell’esame delle leggi finanziarie. Oggi la legge di stabilità dovrebbe essere limitata alla fissazione di poste, saldi, aliquote, mentre quelli che la l. 196/2009 definisce “interventi di carattere ordinamentale, organizzatorio ovvero di rilancio e sviluppo dell’economia” sono affidati ai disegni di legge collegati alla manovra finanziaria, in teoria, già previsti da aprile, appunto per introdurre nell’ordinamento quelle innovazioni che servono a perseguire gli obiettivi che ci si è dati. I disegni di legge collegati devono essere presentati entro il mese di gennaio: quando il ciclo di bilancio dell’anno solare successivo comincia a muovere i primi passi in ambito europeo.
La legge comunitaria è lo strumento con cui viene assicurato il periodico adeguamento dell’ordinamento interno all’ordinamento dell’Unione Europea. Istituita dalla l. 86/1989 (legge La Pergola), essa riorganizzò sulla base di un procedimento annuale le modalità attraverso le quali, appunto, l’ordinamento italiano si conforma a quello dell’Unione.
Ogni anno entro il 31 gennaio, il governo presenta alle Camera il disegno di legge comunitaria. In relazione a gran parte degli obblighi essa: a) delega il governo a farlo (ex art. 76 Cost.); b) autorizza regolamenti del governo nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge (ex art. 17.2 l.400/1988); c) individua i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni esercitano la propria competenza normativa (ex art. 117.3 Cost.);

Con le leggi di semplificazione, sempre su iniziativa del governo, si sarebbe dovuto procedere periodicamente a delegificare e semplificare settori dell’ordinamento, anche sulla base della verifica dell’“impatto della regolamentazione”. Si sono avute poi solo due leggi di tal genere, anche se lo sforzo di semplificazione è stato ugualmente perseguito in altre forme, attraverso la redazione di testi unici e l’abrogazione di leggi obsolete.

12. LE PROCEDURE DI INDIRIZZO
Le Camere concorrono a determinare l’indirizzo politico in forme svariate. Le Camere concorrono alla determinazione dell’indirizzo generale del paese e compiono più specifiche scelte di indirizzo facendo ricorso a strumenti diversi. I principali sono quelli che riguardano il rapporto fiduciario: il dibattito e la votazione sulla questione di fiducia posta dal governo; i dibattiti e le votazioni sulle eventuali mozioni di sfiducia presentate dall’opposizione.
Le Camere utilizzano altri strumenti allo scopo di specificare e integrare l’indirizzo politico generale: sono le mozioni, le risoluzioni e gli ordini del giorno di istruzione al governo.

  • Le mozioni sono lo strumento che serve a provocare una deliberazione su un qualsiasi argomento: le Camere possono votare una mozione che chiede al governo di muoversi in una direzione piuttosto che in un’altra. Quando entrambe le Camere approvano due mozioni uguali o dal contenuto analogo, queste assumono una forza politica particolarmente forte. Dal punto di vista giuridico, l’inottemperanza del governo nei confronti di una mozione in null’altro si traduce se non nell’occasione politica per attivare altri e più stringenti strumenti parlamentari (soprattutto una mozione di sfiducia).

  • La risoluzione ha le stesse finalità della mozione, ma ciò che cambia sono le circostanze in cui può essere presentata: come atto di indirizzo che conclude un dibattito, per esempio originato da comunicazioni del governo; ovvero come tipico atto di indirizzo che può essere presentato e votato in commissione (s’intende solo in ordine agli affari di sua competenza: si dice allora che la commissione opera in sede politica). Ogni singolo parlamentare può presentare una risoluzione, a differenza delle mozioni che richiedono un numero minimo di proponenti.

  • Gli ordini del giorno di istruzione al governo sono in genere presentati nel corso dell’esame di un progetto di legge o anche di una mozione e costituiscono certamente l’atto di indirizzo più blando, che spesso traduce con una sorta di promessa a futura memoria. A esse il singolo parlamentare o i gruppi potranno far riferimento, ma il contesto nel quale possono essere proposti ne ridimensiona molto il significato.

E’ chiaro che i margini entro cui ciascuna camera può muoversi nell’integrare l’indirizzo politico generale sono nella realtà circoscritti dai termini del rapporto fra governo e maggioranza. O la questione è considerata irrilevante o poco rilevante dal governo, e allora questo lascia la sua maggioranza “libera” di pronunciarsi come crede, oppure la maggioranza presenta sin dal primo momento un atto d'indirizzo concordato con il governo. La funzione dell’opposizione non consiste nel riuscire a far approvare documenti rispondenti a un indirizzo politico diverso da quello del binomio governo-maggioranza, bensì nel conquistarsi lo spazio parlamentare par attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla bontà delle proprie proposte e sui danni che a sua avviso provocano le scelte della maggioranza.

13. LE PROCEDURE DI CONTROLLO E INFORMAZIONE
Le Camere dispongono di molteplici strumenti per esercitare funzioni di controllo e di informazione, alcuni alla disponibilità del singolo parlamentare, altre delle commissioni, altri ancora dell’intera assemblea. 
Fra le disponibilità del singolo parlamentare sono presenti le interrogazioni e le interpellanze.
  • Le interrogazioni consistono in una domanda rivolta per iscritto appunto al governo per chiedere informazioni o conferma di informazioni già note, alla quale il governo risponde in forma orale o scritta. L’interrogante deve limitarsi a dire se è soddisfatto della risposta o no, e perché, in pochi minuti. Non si apre alcun dibattito. I regolamenti prevedono lo scioglimento di interrogazioni a risposta immediata.
  • Le interpellanze sono domande per sapere dal governo perché si è comportato in un certo modo e cosa intende fare in ordine a questo o quell’aspetto della sua politica. Esse preludono a un giudizio politico: l’interpellante può illustrarle, può replicare a lungo che nel caso dell’interrogazione, può presentare una mozione per innescare un dibattito vero e proprio.
Quanto alle commissioni, in particolare possono:
  1. chiedere che i ministri vengano a riferire in commissione su qualsiasi questione politica e amministrativa o che i ministri facciano intervenire i dirigenti pubblici che da loro dipendono (audizioni);
  2. chiedere al governo relazioni sull’esecuzione delle leggi e su come ha dato attuazione agli strumenti di indirizzo approvati dalla camera;
  3. disporre indagini conoscitive, cioè serie coordinate di audizioni, che sono stenografate e si concludono con un documento.
Le commissioni parlamentari hanno la facoltà di ascoltare qualsiasi persona a titolo personale, in rappresentanza di istituzioni, associazioni, enti ecc.

La Costituzione prevede la possibilità per le Camere di istituire commissioni d’inchiesta. L’art. 82 Cost. stabilisce che:
  1. abbiano per oggetto materie di pubblico interesse;
  2. siano composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi;
  3. dispongano degli stessi poteri e siano sottoposte alle stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria.
Le commissioni d’inchiesta costituiscono lo strumento di controllo più incisivo, avvalendosi dei poteri dell’autorità giudiziaria (le persone non sono “invitate”, ma “convocate”). L’inchiesta parlamentare verte sempre su questioni politicamente scottanti e, in genere, viene di fatto imposta dall’opposizione e dall’opinione pubblica per inchiodare alle sue responsabilità l’amministrazione e chi la guida o l’ha guidata politicamente. L’inchiesta può anche servire per far luce su vicende mai chiarite o per approfondire la conoscenza di fenomeni sociali che preoccupano la collettività nazionale. Le commissioni possono essere istituite da ciascuna camera con propria delibera, ma sono spesso istituite mediante legge: allo scopo di precedere una composizione bicamerale e di attribuire alla commissione stessa poteri che vadano al di là di quelli spettanti all’autorità giudiziaria.

14. ALTRE FUNZIONI DELLE CAMERE
Le Camere si trovano, in limitati casi, ad assolvere compiti che, per la loro natura, sono per lo più da attribuirsi ad altri poteri dello Stato: funzioni giurisdizionali e funzioni amministrative; questo per garantire l’esercizio pienamente libero delle loro funzioni tipiche. Ad esempio, quando ciascuna camera decide in ordine alle contestazioni relative al procedimento elettorale (ex art. 66 Cost.), svolge una funzione di tipo giurisdizionale. Ciascuna camera poi esercita la autodichia, cioè la giurisdizione domestica sui ricorsi contro i provvedimenti in materia di personale e di tutti gli atti di amministrazione interna, riguardanti i dipendenti delle Camere e anche soggetti estranei.
A parte l’autonomia amministrativa, contabile e di bilancio di cui ciascuna camera gode, alcune leggi attribuiscono a commissioni parlamentari bicamerali funzioni in senso lato amministrative, cioè di gestione diretta: per esempio, le “tribune elettorali” e l’accesso ai programmi di informazione e comunicazione politica del servizio pubblico radiotelevisivo sono decisi non dall’emittente, bensì dalla commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

15. LA PROGRAMMAZIONE DEI LAVORI E I SISTEMI DI VOTAZIONE
A partire dai regolamenti del 1971 i lavori parlamentari sono improntati al metodo della programmazione: nel senso che sono cadenzati secondo criteri concordati dalla conferenza dei capigruppo, su proposta del governo, della maggioranza e dell’opposizione. Solo di recente (1997) si applica il contingentamento dei tempi, in base al quale i procedimenti in assemblea devono concludersi entro una data prefissata e il tempo disponibile è ripartito in quote tra governo, relatori, rappresentanti dei gruppi, eventuali parlamentari che intervengono a titolo personale, in modo da far sì che effettivamente, il tal giorno, alla tale ora, la decisione venga assunta. Va da sé che, essendo le assemblee sede di confronto politico, spesso i casi di deroga a questa regola e lo sforamento dei temo sono relativamente frequenti. Tuttavia, da quando il contingentamento è diventato norma, i calendari trovano per lo più attuazione, il che naturalmente si traduce in un rilevante vantaggio per la funzionalità delle assemblee e, di conseguenza, per il governo e la sua maggioranza.
Lo stesso si può dire a proposito delle modalità di votazione, in particolare grazie alla forma dei regolamenti che, nel 1988, ridimensionò drasticamente l’ambito di applicazione, un tempo generale, del voto segreto. Oggi la stragrande maggioranza della numerosissime votazioni avvengono sempre a scrutinio palese (a meno che non riguardino persone oppure diritti fondamentali), con o senza la registrazione di come ciascun parlamentare ha votato: questa c’è sempre nella votazione finale. Ciò rende impossibili “imboscate” al governo da parte di parlamentari della sua stessa maggioranza (i cosiddetti “franchi tiratori”). Infatti l’effetto stabilizzante nei confronti dell’intero rapporto governo-parlamento è stato notevole e il rafforzamento del governo altrettanto forte.

Nel Parlamento italiano chi è all’opposizione tende con frequenza a fare ricorso all’ostruzionismo, cioè all’utilizzo esasperato di tutte le facoltà previste dal regolamento allo scopo di ritardare o impedire che l’assemblea deliberi. Esso si è sempre giustificato come la volontà di resistenza estrema da parte delle minoranze quando sono in discussione i valori più alti e le regole fondamentali della convivenza sociale e dei rapporti istituzionali. Però, nella prassi italiana, l’ostruzionismo consiste nell’ostacolare la maggioranza e il governo nel perseguimento del programma sul quale pura hanno ricevuto la fiducia dalle Camera e prima ancora dagli elettori. Attualmente si fa largo uso della possibilità di presentare centinaia e addirittura migliaia di emendamenti e, soprattutto, di sollecitare continue verifiche del numero legale. Così, stante il quorum strutturale previsto, si obbliga la maggioranza a presidiare le aule fisicamente, assicurando da sola la continua presenza della metà più uno dei parlamentari senza alcun concorso delle minoranze.

16. IL GOVERNO IN PARLAMENTO
All’esecutivo sono riconosciute prerogative giuridiche sia dal diritto costituzionale sia dal diritto parlamentare: si tratta di strumenti e facoltà di cui il governo può avvalersi affinché le assemblee sostengano la realizzazione del suo programma. Il parlamentarismo necessita per definizione della collaborazione fra i due soggetti del rapporto fiduciario (governo e parlamento) ovvero, nei fatti, tra il governo (e in particolare il primo ministro) e la sua maggioranza. 
La Costituzione conferisce ben poche prerogative in relazione all’andamento dei lavori parlamentari (vedi artt. 64.4, 72.3, 77, 94.2 e 5, 94.4). In Costituzione manca però un istituto tipico dei governi parlamentari che in Costituzione non trovò disciplina, la questione di fiducia (si ritenne che si trattava di una consuetudine costituzionale).
  • Questione di fiducia”: annuncio formale fatto dal governo, nell’imminenza di una qualsiasi votazione parlamentare, che esso la considera tanto rilevante ai fini del proprio indirizzo che si dimetterà nel caso in cui l’assemblea si pronunci negativamente.
Oggi il governo può, direttamente e attraverso i gruppi di maggioranza, determinare i 4/5 dell’agenda parlamentare; può verificare giorno per giorno la compattezza della sua maggioranza grazie al fatto che quasi tutte le votazioni sono a scrutinio palese; può porre la questione di fiducia con minori vincoli rispetto al passato; può meglio difendere il contenuto delle proprie proposte per le limitazioni che sono state via via introdotte alla facoltà di proporre o votare emendamenti. L’uso della questione di fiducia in occasione del voto dei cosiddetti maxi-emendamenti (emendamenti ciascuno sostitutivo non di singoli articoli ma di decine o addirittura centinaia di articoli), ha finito con l’attribuire al governo una specie di voto bloccato (prendere o lasciare l’intero articolato con un voto solo). Infatti, il voto sulla fiducia ha la priorità rispetto al voto su tutti gli altri emendamenti eventualmente proposti, i quali, votata la fiducia, decadono automaticamente. In Italia un governo, purché possa contare su una maggioranza non disposta a rischiare le elezioni anticipate, ha non pochi strumenti per realizzare il proprio programma legislativo.

  1. IL PARLAMENTO E I SUOI RAPPORTI CON ALTRI ORGANI E SOGGETTI
  • Presidente della Repubblica. Il Parlamento in seduta comune lo elegge e ne ascolta il giuramento; ne riceve i messaggi, eventualmente discutendoli; a esso trasmette le leggi approvate per la promulgazione ne riceve l’eventuale rinvio; i presidenti dei gruppi parlamentari sono ascoltati dal presidente della Repubblica in vista della nomina del presidente del Consiglio; i presidenti delle Camere anche in vista dello scioglimento delle Camere stesse; il Parlamento può mettere in stato d’accusa il presidente, ma non può sindacarne l’attività.
  • Corte costituzionale. Il Parlamento elegge un terzo dei giudici costituzionali; le leggi del Parlamento sono sottoposte al controllo di costituzionalità, e in caso di sentenza che ne dichiara l’illegittimità la Corte costituzionale informa le Camere perché provvedano, se lo ritengono opportuno (art. 136 Cost.); il Parlamento, tramite uno o più commissari eletti fra i suoi componenti, sostiene l’accusa nei confronti del presidente della Repubblica davanti alla Corte in composizione integrata.
  • Magistratura. Il Parlamento elegge un terzo dei componenti del Consiglio superiore della Magistratura; può esercitare funzioni di indirizzo e di controllo sul modo come il ministro della giustizia provvede all’organizzazione e al funzionamento dei servizi necessari all’esercizio della giurisdizione da parte dei magistrati; ciascuna camera è chiamata a decidere sulle eccezioni di insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari nell’esercizio delle funzioni e sulle richieste di provvedimenti restrittivi della libertà personale da parte della magistratura a carico dei propri componenti.
  • Regioni. La Costituzione ha previsto una commissione parlamentare per le questioni regionali che fosse sentita in caso di scioglimento di un consiglio regionale o di rimozione di un presidente di regione. Le due Camere con appropriate modifiche (con la l. cost. 3/2001) possono prevedere la partecipazione di rappresentanti delle regioni ai lavori di questa commissione; a essa è attribuita una potestà consultiva rinforzata su tali progetti di legge. I consigli regionali possono presentare proposte di legge alle Camere.
  • Unione europea. I regolamenti parlamentari prevedono che specifiche procedure di indirizzo e di controllo sull’attività governativa in ambito europeo. In entrambe le Camere è istituita una commissione permanente “politiche dell’Unione europea” con compiti relativi. 
1. all’esame in sede referente della legge comunitaria;
  1. all’esame in sede consultiva degli schemi di atti del governo attuativi di direttive Ue e di tutti i progetti di legge per i profili di compatibilità con la normativa europea;
  2. all’esame in sede politica degli atti e dei progetti di atti dell’Unione.
Le Camere, dunque, partecipano sia alla fase ascendente sia alla fase discendente del processo normativo dell’Unione. Ai fini della partecipazione alla fase ascendente sono previsti dalla l. 11/2005 una serie di obblighi informativi da parte del governo, ed è anche prevista la possibilità per le Camere di chiedere al governo di porre in sede di Consiglio dell’Unione una riserva di esame parlamentare.
Secondo l’art. 12 Tue, i parlamenti nazionali contribuiscono al funzionamento dell’Unione europea vigilando sul rispetto del principio di sussidiarietà; partecipando alle politiche volte a garantire un spazio di libertà, sicurezza e giustizia; partecipando alle procedure di revisione dei trattati; esprimendosi sulle domande di adesione di nuovi stati; partecipando a forme di cooperazione interparlamentare che includono anche il Parlamento europeo.
  • Organi ausiliari e autorità indipendenti. Le Camere si avvalgono di pareri, studi e indagini del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, il quale è anche titolare dell’iniziativa legislativa. La Corte dei conti “riferisce direttamente” alle Camere sui riscontri che esegue (art. 100.2 Cost.) e può essere invitata fornire elementi informativi alle commissioni parlamentari; essa inoltre presenta relazioni annuali sulla gestione di tutti gli enti comunque sovvenzionati dallo Stato. Relazioni al Parlamento presentano per obbligo di legge ogni anno diverse autorità indipendenti. Il Parlamento partecipa in vario modo al procedimento di nomina delle autorità (attraverso l’espressione di parerei o la nomina da parte dei presidenti della Camere o eleggendo i loro componenti). 

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