CAP. 3 - L’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE
1. LA “COMUNITÀ DEGLI STATI” E IL DIRITTO INTERNAZIONALE
Il diritto non è monopolio dello Stato poiché inerisce a qualsiasi corpo sociale organizzato, secondo la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici. Questo pone un problema generale di rapporti tra i diversi ordinamenti giuridici: quelli dotati della sovranità, regolano autonomamente al loro interno i rapporti con gli altri ordinamenti.
Il diritto internazionale è l’ordinamento della “comunità degli stati”: il Trattato di Vestfalia del 1648, oltre ad essere la data che sancisce l’autonomia del moderno stato rispetto all’Impero e al Papato, rappresenta anche la nascita del diritto internazionale. La necessità di un diritto internazionale nasce nello stesso momento in cui i singoli stati non riconoscono alcune autorità al di sopra del proprio ordinamento nazionale.
L’ordinamento internazionale è quella branca del diritto che regola le relazioni internazionali, dette anche relazioni diplomatiche. Caratteristica dell’ordinamento internazionale è stata quella di avere una base sociale costituita non da persone fisiche, da esseri umani, ma esclusivamente da Stati, cioè da entità collettive (mentre negli stati liberale i primi soggetti sono i singoli cittadini). Alcune differenze tra ordinamento internazionale e statale sono:
- L’ordinamento internazionale è un ordinamento “anarchico”, nel senso che non c’è un ente che si ponga, nei confronti dei consociati, in posizione sovraordinata (come invece lo Stato è nei confronti dei cittadini). Non esiste un “potere esecutivo”: infatti, a partire dalla nascita delle Nazioni Unite sono stati compiuti, a seguito della seconda guerra mondiale, sforzi per evitare il ripetersi di una situazione autoritarie. L’elemento fondamentale per le organizzazioni internazionali è che non esiste un vero e proprio monopolio dell’uso della forza a livello internazionale: infatti i “caschi blu” dell’Onu non sono un vero e proprio esercito, ma sono composti da contingenti dei vari stati membri che concedono truppe che momentaneamente “perdono” la loro divisa nazionale.
- L’ordinamento giuridico internazionale non ha un organo legislativo che produca norme che abbiano come destinatari tutti i soggetti che ne fanno parte;
- Le norme di diritto internazionale generale sono prodotto di fonti fatto, ossia di formazione consuetudinaria o spontanea, e obbligano tutti i soggetti dell’ordinamento (la fonte consuetudinaria per eccellenza è “pacta servanda sunt”); altra cosa sono i trattati e gli accordi fra stati che danno, invece, luogo a norme di diritto internazionale pattizio.
- Manca un meccanismo organizzato di soluzione delle controversie che eventualmente insorgano tra i soggetti dell’ordinamento (corti e tribunali internazionali sono costituiti in basi a trattati). Esistono la Corte internazionale di giustizia e la Corte penale internazionale, entrambe con sede a L’Aia, a cui vengono devolute soltanto competenze (per quanto riguarda la seconda competenze di giudizio relative a genocidi, stermini, crimini contro l’umanità); potere comunque limitato poiché in ambito di diritto internazionale non esistono pene coercitivi, bensì solo richiami morali o imposizioni economiche, come embarghi.
- La protezione degli interessi dei soggetti dell’ordinamento è in larga misura affidata all’istituto dell’autotutela: il singolo soggetto è autorizzato a ricorrere ad atti coercitivi (interventi militari, sanzioni economiche o commerciali) per attuare i propri diritti – ciò inficia la pretesa di uguale sovranità dei soggetti dell’ordinamento internazionale, date le enormi differenze che le caratterizzano
2. ORDINAMENTO INTERNAZIONALE E ORDINAMENTO ITALIANO
Occorre soffermarsi brevemente sul tema dei rapporti fra ordinamento giuridico internazionale e ordinamento interno italiano.
- La concezione monista invece tende a ridurre a unità ordinamento internazionale e ordinamento statale, indicando quale dei due venga considerato derivato e quale originario; a quest’ultimo spetta un ruolo di maggiore rilevanza. Hans Kelsen riteneva che il primato spettasse all’ordinamento internazionale; questo porterebbe però necessariamente alla nascita di una sorta di governo internazionale che privasse dei propri poteri i singoli stati.
- La concezione dualista si basa sull’adesione alla teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici. Essa pone i due ordinamenti come separati e indipendenti, ciascuno con i propri compiti (posizione adottata dalla maggior parte dei giuristi italiani e affermata dalla Corte Costituzionale).
Con quali modalità gli stati contraggono obblighi di diritto internazionale? Gli obblighi possono avere origine pattizia, che possono trarre origine da trattati o da accordi di natura diversa, anche meno solenni (accordi in forma semplificata). I trattati richiedono, in seguito alla firma, la ratifica, mentre gli altri accordi richiedono la semplice firma, che vincola lo stato.
“Ratifica”: l’istituto giuridico mediante il quale un soggetto (in questo caso lo stato) fa propri gli effetti di un negozio (di un accordo) concluso con terzi dal proprio rappresentante.
Nel caso italiano è il governo che, rappresentato dal ministro degli affari esteri, negozia i trattati. Successivamente interviene la ratifica di ciascuno stato, seguita dallo scambio di strumenti di ratifica o dal deposito di esso presso una delle parti.
Nel caso dell’Ordinamento italiano la ratifica è atto presidenziale (art. 87.8) che in alcuni casi deve essere autorizzato con legge del Parlamento. La legge di autorizzazione è necessaria quando la ratifica riguarda un trattato la cui esecuzione comporta:
- variazioni al territorio;
- neri finanziari a carico dello Stato;
- modificazioni di leggi;
- oppure ancora quando la ratifica riguarda;
- trattati che hanno natura politica (vincolano la politica estera della Repubblica);
- trattati che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari internazionali (limitazione della sovranità dello Stato che si obbliga ad accettare una qualche forma di giurisdizione in caso di controversie che lo contrappongano ad altro stato).
Nel caso di trattati di natura politica, si procede senza ratifica poiché considerati accordi in forma semplificata.
Il diritto internazionale impatta inevitabilmente sul nostro ordinamento nazionale. I rapporti tra ordinamento internazionale e nazionale è diverso in ogni singolo stato membro. Nel caso dell’Italia si deve tener conto degli artt. 10 e 80 Cost., già esistenti nel 1948, e l’art.117.1 Cost., inserito nel 2001 con le revisione del titolo V. Dobbiamo citare anche l’art.11 ma non è fondamentale per cogliere i rapporto tra ordinamento nazionale e internazionale, bensì più utile interpretarlo per giustificare il processo d'integrazione comunitaria.
- Art. 11.1 (riguardo il diritto consuetudinario)
Nel 1948 l’Assemblea costituente aveva grande fiducia sui principi che si stavano consolidando a livello internazionale. E allora decreterà che l’ordinamento interno si conformi e si adegui alle norme del diritto internazionale, non a qualunque, ma a quelle generalmente riconosciute, quindi le consuetudini di diritto internazionale). Un principio che è generalmente riconosciuto a livello internazionale sarà allora vigente anche nel nostro paese.
- Art. 80 (riguarda il diritto pattizio)
La fonte principale del diritto pattizio sono i trattati che riguardano solo gli stati firmatari. A differenza del diritto consuetudinario, il trattato internazionale non ha un immediato impatto sull’ordinamento italiano, ma vi è una procedura da seguire: la cosiddetta “ratifica” autorizzata dal Parlamento ma decretata dal Capo dello Stato.
Non resta che vedere, allora, qual è il procedimento con il quale i trattati si inseriscono nel nostro ordinamento nazionale. Se un trattato viene sottoscritto dagli Stati (solitamente dai ministri degli esteri) non significa che quel testo sia vigente nel diritto internazionale. Esso, infatti, entrerà in vigore quando sarà ratificato da una quota di stati firmatari che gli stessi si erano preposti secondo gli accordi.
Ogni ordinamento prevede una ratifica diversa: come ciascuno stato ratifichi il trattato non interessa al diritto internazionale. In Italia la ratifica è attuata dal Presidente della Repubblica previo autorizzazione con legge dalle Camere. Lo Stato, dopo aver provveduto a ratificare, si dice che, “deposita lo strumento di ratifica” nelle sedi di competenza. Quando vengono sì raggiunte il numero di ratifiche previste dal trattato, esso entrerà in vigore solo per quegli stati che hanno firmato e ratificato. Dall’entrata in vigore, se uno stato non rispetta il trattato, sarà giudicato dinnanzi agli altri stati che lo hanno sottoscritto e ratificato.
3. L’ADATTAMENTO AGLI OBBLIGHI INTERNAZIONALI
Lo stato opera su due piani separati e distinti: come soggetto di diritto internazionale, quando viene ratificato un trattato, lo Stato si impegna nei confronti degli altri stati a introdurre una certa normativa interna, adattando così il proprio ordinamento interno, introducendo le disposizioni necessarie a conformarsi al trattato (se lo stato non si adegua nei tempi fissati dal trattato incorrerà in responsabilità sotto lo stretto profilo del diritto internazionale). Come soggetto di diritto pubblico, resta tuttavia padrone di fare ciò introducendo le disposizione necessarie a conformarsi al trattato oppure no. Nessun soggetto dell’ordinamento internazionale potrà sostituirsi a esso nell’adattare il diritto interno alle norme del trattato.
Il governo deve dare esecuzione ad un trattato internazionale. Come sappiamo, nel caso del diritto pattizio non c’è l’automatismo che c’è nel diritto consuetudinario, e quindi sarà necessario un atto specifico sul piano nazionale per eseguire il trattato internazionale.
L’adattamento dell’ordinamento interno all’ordinamento internazionale attraverso la legge di esecuzione del trattato, può avere luogo in diverse forme; nell’ordinamento italiano le modalità sono tre. Le prime due si applicano agli obblighi internazionali di origine pattizia, la terza solo agli obblighi di origine consuetudinaria.
- Il ricorso a procedimenti ordinari di produzione giuridica: vengono adottate norme il cui contenuto serve a ottemperare agli obblighi internazionali. La legge presenta in sé lo stesso contenuto del trattato.
- Il ricorso a procedimento speciale (quello più utilizzato): viene approvata una legge che dispone l’adattamento nell’ordinamento interno ai vincoli internazionali attraverso l’ordine di esecuzione. Il testo del trattato (in lingua originale) viene allegato alla legge e l’adattamento è in tal modo completo e integrale. Gli obblighi previsti dal trattato non sono riformulati nella legge: essi risultano vincolanti nell’ordinamento in virtù dell’ordine di esecuzione, il quale, per il contenuto, rinvia totalmente al trattato (dal punto di vista delle fonti i primi due procedimenti sono sempre nell’ambito di fonti di rango legislativo primario). Per prassi l’ordine di esecuzione è contenuto nella stessa legge di autorizzazione alla ratifica: il Parlamento, cioè, quando autorizza la ratifica di un trattato in base all’art. 80 Cost., ne ordina il consequenziale adattamento.
- Il ricorso al procedimento in forma automatica consiste in un meccanismo peculiare in base al quale non vi è necessità di alcun apposito atto statale per adattare l’ordinamento interno alle norme internazionali: gli effetti rendono l’adattamento immediato e diretto, completo e continuo. Nell’ordinamento italiano ciò è reso possibile all’art. 10.1 Cost. Quella nell’art. 10 è una norma sulla produzione giuridica, la quale contempla le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute come fonti fatto idonee a creare, modificare o estinguere norme giuridiche interne. L’adattamento automatico non è sempre immediatamente efficace (per via di necessità statali).
Per non far intervenire il Parlamento due volte (autorizzazione della ratifica al Capo dello Stato e esecuzione della ratifica stessa), il Parlamento dà contestualmente il permesso di ratifica al Capo dello Stato, poi sta alle Camere eseguire la ratifica.
- IL DIRITTO INTERNAZIONALE E LA PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI
La regola per eccellenza, di diritto consuetudinario, è “pacta servanda sunt”. Esistono però anche altri principi seguiti da tutti i paesi: uguale sovranità degli stati, estensione delle acque territoriali e la piattaforma continentale, l’immunità di agenti diplomatici, il divieto della pirateria o della tratta degli schiavi, divieto di contrabbando di guerra o di atti che ledono gli stati (attentato contro il capo di uno stato estero, attentato contro uno dei legittimi rappresentati di uno stato estero, insulto alla bandiera, attentato all’integrità territoriale di uno stato).
Nel diritto internazionale, prima delle due guerre mondiali, l’uso della forza era ritenuto come strumento legittimo per la gestione delle controversie internazionali. Dopo i disastri umani della guerra, grazie alla nascita del diritto internazionale bellico nei rapporti tra stati, la guerra non è più un elemento di risoluzioni di conflitti: si stabilisce la deregolamentazione dei conflitti bellici (regole per il trattamento e le condizione dei prigionieri, armi convenzionali e non convenzionali, trattamento dei feriti stranieri).
Gli stati sentono la necessità di porsi limiti in quanto, dopo e a seguito della seconda guerra mondiale, il diritto internazionale conosce sviluppi importanti, sia sotto il profilo processuale sia sotto il profilo sostanziale: ciò con particolare riferimento al grande campo della protezione dei diritti umani sulla base di concezioni che si possono definire neo-giusnaturaliste, fondate sull’idea che ciascun essere umano in quanto tale sia titolare di un patrimonio di diritti.
Sotto il profilo sostanziale, un crescente numero di strumenti internazionali si sono indirizzati alla tutela di posizioni soggettive di singoli individui, di gruppi di intere collettività organizzate e non organizzate. Si tratta di una tendenza fortemente innovativa, perché supera la tradizionale concezione del diritto internazionale come diritto che riguarda i rapporti fra stati e tende invece a far emergere la soggettività dei cittadini e dei popoli. Le dichiarazioni sui diritti umani più importanti adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite sono la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) e i due patti Patti internazionali relativi ai diritti civile e politici e Patti internazionali relativi ai diritti economici, sociali e culturali (1966). In numerosi casi, accordi internazionali hanno avuto a oggetto la codificazione proprio delle norme consuetudinarie (quelle che erano generalmente riconosciute a livello internazionale).
Sotto il profilo processuale, nell’ambito delle varie organizzazioni internazionali si sono previste procedure destinate ad assicurare l’osservanza da parte degli stati dei precetti riguardanti la tutela dei diritti umani sopra richiamati. Sul modello dei tribunali di Norimberga (del 1945), sono stati costituiti i tribunali internazionali penali per trattare i casi di ex Jugoslavia e Ruanda. Tali esperienze hanno portato alla nascita della Corte penale internazionale, prevista da un accordo sottoscritto da 139 paesi, lo Statuto di Roma del 1998, entrato in vigore il 1° luglio del 2002. La Corte è un tribunale permanente che esercita la sua giurisdizione sulle persone fisiche che si siano macchiate dei crimini più gravi di portata internazionale come genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra (dal 2017 anche per l’aggressione). La sua giurisdizione è però complementare alle componenti giurisdizionali nazionali: può agire solo quando sia accertato che queste ultime non vogliono o non possono procedere.
La Cedu (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) è il caso più cospicuo di accesso diretto dei singoli a istanze internazionali, attraverso i ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Vicino alla tendenza di considerare questi trattati come vero e proprio diritto internazionale generale, c’è anche la tendenza a considerare i singoli, le persone fisiche, le organizzazioni internazionali, anche loro soggetti dell’ordinamento internazionale. Alcuni trattati fanno sì che in certi casi i privati possono adire istanze internazionali e imporre, direttamente o indirettamente, allo stato inadempiente, l’osservanza di norme internazionali a tutela dei diritti umani. Questo porta a un moderno tentativo di superamento di uno dei limiti dell’ordinamento internazionale: la mancanza di un’effettiva autorità dotata del potere coercitivo di imporre il rispetto delle sue norme.
- FOCUS 3.1: La Corte penale internazionale
La Corte penale internazionale nasce quando lo Statuto di Roma del 2002 viene ratificato dal sessantesimo stato. La Corte, costituita da diciotto neo giudici internazionali eletti dall’Assemblea degli stati contraenti, si insediò a L’Aia l’11 marzo. Il passo successivo è stata l’elezione del procuratore. In dieci anni i paesi sono raddoppiati ma mancano paesi importanti come Cina, Russia, Stati Uniti, India e Israele e paesi dell’ex blocco sovietico (i paesi dell’UE sono tutti presenti). Gli Stati Uniti firmarono il trattato, ma non lo ratificarono mai: il passo indietro, fatto sotto la presidenza di Bush, è dovuto agli impegni militari e alle responsabilità degli Stati Uniti nel mondo che verrebbero giudicate da un procuratore indipendente. A dieci anni dalla nascita si è concluso un processo instaurato davanti alla Corte che riguardava Lubanga, un signore della guerra congolese cha aveva utilizzato bambini soldato (questo era solo uno dei quindici processi avviati).
La Corte può essere attivata, conformemente all’art. 13, per tre ragioni:
- su richiesta di uno stato contraente il quale segnala al procuratore i fatti su cui indagare;
- su richiesta del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel quadro delle azioni previste dal capitolo VII della Carta Onu;
- su iniziativa del procuratore sulla base di informazioni pervenute da fonti affidabili, anche di organizzazioni non governative.
Lo Statuto non prevede alcuna immunità per nessuno, qualunque sia la carica ricoperta e indipendentemente dalle immunità riconosciute dagli ordinamenti interni o dal diritto internazionale. E’ nata la percezione che la Corte si sia trasformata in un tribunale per l’Africa quindi priva di imparzialità. La Corte non ha poteri di polizia quindi dipende dagli stati per l’esecuzione delle sue richieste.
- L’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE E LE MISSIONI INTERNAZIONALI
Se della soggettività di diritto internazionale delle singole persone ancora si discute, è invece considerato pacifico che di essa dispongano le organizzazioni internazionali. La principale è l'Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), creata e retta dalla Carta di San Francisco del 26 giugno 1945 sottoscritta da 51 paesi a fine delle seconda guerra mondiale. L’Onu nasce dalle ceneri della Società delle Nazioni, progetto fallimentare, nato a seguito della prima guerra mondiale, al fine di regolamentare i rapporti a livello internazionale.
L’Onu, che ha sede centrale a New York, ha come organi principali:
- L’Assemblea Generale composta da tutti gli stati membri (193, quasi tutti quelli presenti sul globo terrestre), delibera a maggioranza semplice di regola, mentre per le decisioni più delicate a maggioranza dei due terzi.
- Il Consiglio di Sicurezza, composto da 15 stati membri di cui 5 permanenti (Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Cina e Russia, ossia i paesi vincitori della seconda guerra mondiale). Si trovano in una posizione “privilegiata” poiché il loro voto è necessario per qualsiasi votazione e godono del “diritto di veto” (qualora vogliano far valere i propri interessi, essi possono bloccare qualsiasi progetto). Gli altri membri, quelli non permanenti, sono rappresentanti secondo un meccanismo democratico di “rotazione”.
- Il Segretariato generale, il cui titolare è eletto dall’Assemblea su proposta del Consiglio di sicurezza per un periodo di cinque anni. Ha funzioni di iniziativa e mediazione.
- Il Consiglio economico e sociale, composto da 54 membri eletti dall’Assemblea generale per un periodo di tre anni. Promuove e coordina le iniziative economiche e sociali dell’Onu e degli istituti specializzati che a essa fanno capo.
- La Corte internazionale, composta da 15 giudici, eletti per un periodo di tre anni dall’Assemblea generale e dal Consiglio di sicurezza. Ha funzioni di arbitrato fra gli stati membri e di consulenza degli organi Onu.
Inoltre ci sono varie organizzazioni specializzate: l’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica), la Banca mondiale, la Fao (Organizzazione per l’alimentazione), il Fmi (Fondo monetario internazionale), l’Oil (Organizzazione internazionale del lavoro), l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità), l’Unesco (Organizzazione della Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura), l’Unicef (Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia), il Wto (Organizzazione mondiale per il commercio).
Alla base dell’Onu c’è l’idea assolutamente innovativa che l’uso della forza sia centralizzato, cioè affidato al solo Consiglio di Sicurezza. I singoli stati non possono farvi ricorso salvo il caso di attacco armato dal quale difendersi o dal quale difendere uno stato aggredito e solo a titolo temporaneo. Tuttavia, nel caso di un conflitto interno (una guerra civile), le organizzazioni internazionali non possono intervenire.
Tuttavia i singoli stati non hanno mai messo a disposizione delle Nazioni Unite le loro forza armate in quanto il Consiglio deve deliberare l’intervento, il che equivale a dire che ci vuole in consenso di tutti e cinque i membri permanenti. Questo non è mai successo fino agli anni ’90, in quanto il mondo era diviso in blocchi contrapposti. Ma dopo la fine della guerra fredda, nei casi della Guerra del Golfo (1990-91) e della guerra civile in Somalia (1992-93), il Consiglio approvò l’intervento per ripristinare la pace e la sicurezza (operazione di peace enforcement). In generale, però, il Consiglio ha deliberato interventi non coercitivi e di interposizioni (operazioni di peace keeping, gestite direttamente dall’Onu). Si tratta delle missioni dei “caschi blu” (Jugoslavia 1992-95, Ruanda 1993-96).
L’Italia fu ammessa all’Onu il 14 dicembre 1955. L’adesione era coerente con il dettato dell’art. 11 Cost. in base al quale:
- il nostro paese “ripudia” la guerra sia come strumento di offesa contro altri popoli sia come mezzo per risolvere le controversi con altri stati (ma non come strumento di difesa, la Costituzione contempla, all’art. 78, la possibilità dello stato di guerra);
- l’Italia “promuove e favorisce” le organizzazioni internazionali rivolte allo scopo di assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni.
È proprio sulla base dell’art. 11 che si discute della partecipazioni dell’Italia a missioni militari all’estero. L’interpretazione prevalente è che essa sia da considerarsi sicuramente legittima dal punto di vista costituzionale ogniqualvolta si tratti di operazioni della Nazioni Unite (esempio dell’intervento in Kuwait nel 1991). Suscitò invece aspre polemiche l’impegno militare in Kosovo nel 1999 dal momento che l’intervento fu deciso e attuato nell’ambito della Nato senza l’avallo dell’Onu. Altra polemica si sollevò nel caso della guerra in Iraq.
Le missioni all’esterno oggi sono disciplinate e finanziati con decreti legge ad hoc. Essi fissano le caratteristiche dell’intervento, le regole d’ingaggio (le regole che indicano circostanze e limiti entro cui le forze armate iniziano o continuano un combattimento), le modalità di copertura finanziaria, e così via.
- LA NATO. IL CONSIGLIO D’EUROPA E ALTRE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI REGIONALI
Dopo la Seconda guerra mondiale si sono formate organizzazioni internazionali regionali, costituite da gruppi di stati con la finalità di preservare la pace in determinate zone. Tali organizzazioni richiamano la Carta dell’Onu e si configurano come strumenti di autotutela a carattere collettivo. La Nato (North Atlantic Treaty Organization) è l’organizzazione internazionale regionale più importante, a cui l’Italia aderisce dal 1949: è costituita da 28 paesi europei, Stati Uniti e Canada. Il principio cardine del Trattato (art. 5) è l’intervento di difesa nel caso di un attacco subito da un paese membro.
La Nato si è sviluppata come risposta all’espansionismo sovietico degli anni 40-50 e, per questo, deve gran parte della sua forza all’esercito statunitense.
La Nato ha compiuto azioni non previste dal Trattato come bombardamenti in Bosnia nel 1995, campagna aerea nel Kossovo 1999, l’operazione militare in Libia.
Un’altra organizzazione è il Consiglio del’Europa, da non confondere con l’Unione europea, nato nel 1949 a Strasburgo, che comprende attualmente 47 stati: ha la finalità di promuovere e difendere i principi democratici, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti dell’uomo, tutelati attraverso la Cedu (importante l’assistenza ai paesi dell’Europa centro-orientale per il processo di democratizzazione).
Di promozione della democrazia si occupa anche l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce): nata dalla conferenza di Helsinki del 1975, ne fanno parte tutti paesi europei, ex sovietici, Canada e Stati Uniti: è nota soprattutto per le missioni di osservazione elettorale.
Esistono anche altre organizzazioni Oas, organizzazione per la pace nelle Americhe; l’Asean, di cui fanno parte paesi asiatici riuniti da fini economici, politici e sociali; una serie di aree di libero scambio per promuovere il commercio (la Nafta nell’America del Nord; la Mercosur nella parte sud dell’America meridionale; la Cedao, comunità economica degli Stati dell’Africa ovest).
Esistono anche, e si differenziano dalle organizzazioni regionale, le organizzazioni sovranazionali, associazioni di stati volte a creare vincoli particolarmente stretti di integrazione dando vita a ordinamenti in grado di condizionare i singoli stati di cui fanno parte (un caso ne è l’Unione Europea).
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