CAP. 2 - LO STATO
- LO STATO COME COMUNITÀ POLITICA
Fra tutti gli ordinamenti giuridici costruiti nel corso della storia, ha avuto particolare rilievo lo stato (espressione già presente ne Il Prinicpe di Machiavelli).
Gli stati si affermano quando in varie parti d’Europa alcuni ordinamenti territoriali si organizzano attorno a un princeps, un feudatario che per forza economica , militare o strategica assume posizione di preminenza rispetto ad altri. Questo processo si sviluppa in due fasi:
- all'esterno: il princeps afferma la propria autonomia nei confronti del Papato e dell’Impero che da tempo esercitavano o pretendevano di esercitare giurisdizione sui singoli ordinamenti locali;
- all’interno: il princeps afferma la propria supremazia sugli ordinamenti particolari che esistevano all’interno del suo territorio.
Attraverso questo processo, si unificano e si nazionalizzano i vari ordinamenti giuridici particolari; si rendono autonomi territori, si formano una burocrazia e un esercito stabili. L’autonomia dal potere papale e imperiale trova consacrazione con la fine della Guerra dei Trent’anni e con Trattato di Westfalia del 1648 (che, non a caso, segna la nascita del moderno diritto internazionale); mentre la supremazia interna si realizza attraverso il consolidamento della monarchia assolta nei principali paesi europei.
Lo stato moderno è caratterizzato da due elementi fondamentali: la politicità e la sovranità.
- La politicità sta ad indicare che l’ordinamento statale assume fra le proprie finalità al cura, almeno potenzialmente, di tutti gli interessi generali che riguardano una determinata collettività stanziata su un determinato territorio.
- La sovranità, vale a dire la supremazia rispetto a ogni altro potere costituito al suo interna e la sua indipendenza rispetto a poteri esterni.
Si dice che solo lo stato è sovrano perché possono esserci altri enti che siano politici ma non sovrani: ad esempio regioni o comuni possono curano gli interessi della collettività ma sono limitati da regole stabilite nella costituzione.
Dunque, in aggiunta, si dice che uno stato può definirsi tale se riesce a conseguire il monopolio della forza, quindi se è in grado di agire tendenzialmente senza resistenza al proprio interno o senza interferenza dall’esterno. Lo stato esercita il monopolio della forza si in forma diretta con l’uso della forza legale (tribunali, polizia, pene per chi trasgredisce la legge) e in forma indiretta, ponendosi come unico soggetto che può legittimare altri soggetti all’uso della forza.
“Stato”: quando una popolazione, sottomettendosi a un potere politico, dà vita a un ordinamento in grado di soddisfare i suoi interessi generali (difesa, sicurezza, giustizia, disciplina nelle relazioni economiche).
In questo modo una popolazione diviene popolo, ovvero un insieme di persone legate da una cittadinanza, vale a dire una tendenziale uguaglianza di diritti e di doveri di fronte al governo sovrano a cui si assoggettano.
Per parla di “stato” dobbiamo avere:
- un popolo
- un territorio non necessariamente contiguo
- un governo sovrano.
Se manca uno di questi elementi, non siamo in presenza di uno stato: uno stato privo di territorio (rom o berberi); uno stato privo di un governo in grado di controllarlo (i curdi divisi tra Turchia, Iraq, Iran, Siria); uno stato conteso da più di un governo (il caso della Bosnia-Erzegovina); uno stato con sicurezza assicurata da uno stato straniero (il caso dei protettorati o delle colonie); infine, uno stato con un popolo, un territorio e un governo ma con quest’ultimo che non è sovrano (non ha confini definiti, né il completo monopolio della forza: il caso dei Territori palestinesi).
Politicità e sovranità sono caratteristiche di un ordinamento statale che sono complementari: non si possono perseguire fini generali se non si dispone della forza e delle risorse che possono rendere ciò effettivamente possibile, la sovranità.
Collegato alle categoria della politicità e della sovranità è il concetto di costituzione: la sovranità è un potere costituito ma costituente e in essa trova legittimazione la costituzione dello stato, essa a sua volta costitutiva di ogni altro potere pubblico. In breve: solo gli stati sovrani possono darsi (o comunque possedere) una costituzione.
Collegare il concetto di stato a quello di sovranità non è in contraddizione col fatto che, nell’ordinamento italiano, la sovranità considerata “appartenente” al popolo. Quest’affermazione induce a sottolineare due aspetti importanti:
- il popolo è la fonte di legittimazione di ogni potere statale (nello stato assoluto la fonte era direttamente Dio; nello stato liberale la Nazione)
- il popolo, o meglio, il corpo elettorale è il titolare dei poteri sovrani.
La sovranità dello stato non ha più le caratteristiche di assolutezza che i vecchi stati nazionali rivendicavano. L’esercizio del potere sovrano incontra limiti crescenti:
- limiti di fatto derivanti dallo sviluppo delle tecnologie informatiche e dai processi di globalizzazione, che rendono difficile il controllo degli stati sulla circolazione di informazione, di capitali e di risorse prodotte nel proprio territorio (si parla infatti di “crisi di legittimazione”);
- limiti giuridici derivanti dall’evoluzione dell'ordinamento internazionale, che mira non più solo ad assicurare la coesistenza fra gli stati ma considera fra i propri soggetti anche i popolo e i singoli individui (si parla, in questo caso, di “ingerenza umanitaria”, contrapponendola al tradizionale principio di non ingerenza negli affari interni di uno stato).
Sembra contraddire lo schema classico della sovranità lo stato federale (1787: Stati Uniti; 1848: Svizzera; 1871: Secondo Reich tedesco). Esso realizza un ordinamento complesso in cui la sovranità è distribuita su due livelli di governo, quello dello stato federale e quello degli stati federati, ciascuno con una propria costituzione. In realtà, il processo di unificazione federale da vita a un nuovo stato; la costituzione federale si pone come fonte di legittimazione di tutti i poteri pubblici, anche di quelli degli stati federati. In poche parole: vi è un solo popolo, un solo potere costituente, una sola costituzione, un solo stato.
Diverso dallo stato federale è il caso della confederazione di stati. La confederazione non dà vita a una nuova entità statale, ma a un’unione fra stati indipendenti e sovrani, attraversi strutture comuni di cooperazione, disciplinata dal diritto internazionale e priva di una costituzione.
Si deve accennare anche al concetto di “trasformazione di stati”. Infatti, gli stati sorgono, vivono, ma anche muoiono (l’Austria nel 1938, l’Urss nel 1991); si trasformano (le due Germanie unite nel 1989) e si dividono (l’Impero austro-ungarico nel 1919, la Jugoslavia nel 1990-95). Tali trasformazioni possono essere valutate sia dal punto di vista del diritto internazionale, sia dall’autonomo punti di vista del diritto interno, a seconda che siano avvenuto o meno mutamenti dell'ordinamento costituzionale.
- FOCUS 2.1 - Lo stato come ordinamento e lo stato come soggetto giuridico
L’espressione “stato” può essere intesa in due modi: come Stato ordinamento e come Stato persona.
Sotto il primo profilo si può indicare il complesso delle norme, generali e astratte, che vanno a comporre l’ordinamento giuridico, a fronte del quale si pone il complesso delle istituzioni cui, in un determinato territorio e in riferimento a un determinato popolo, è riconosciuta la legittimazione a governare.
Lo stato è anche soggetto dell’ordinamento giuridico, titolare di diritti, poteri, obblighi, rapporti di credito e debito, come altre persone giuridiche operanti nel mondo del diritto; lo stato può allora anche possedere beni, aziende, pacchetti azionari.
Le due figure, pur esprimendo entità concettuali diverse, vengono talvolta sovrapposte. Il testo della nostra Costituzione non sempre è chiaro a riguardo. Il primo profilo sembra riassunto con l’espressione “la Repubblica”, mentre l’espressione “Stato” può essere riferita alla persona giuridica, contrapposta a “i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni”. Si tenga presente però che lo Stato è titolare del nome, del simbolo e della bandiera delle Repubblica e solo esso ha il compito di far valere gli interessi nazionali.
- FOCUS 2.2 - Stato federale e stato regionale
In base alla ripartizione del potere fra stato centrale ed enti territoriali, gli stati vengono tradizionalmente distinti in stati accentrati e stati composti
- Gli stati accentrati, ispirati al modello napoleonico, sono caratterizzati da un assetto in cui il potere è attribuito al solo stato centrale e prevedono un mero decentramento burocratico.
- Gli stati composti sono caratterizzati dal fatto che esistono al loro interno enti territoriali titolari di propri poteri, che li esercitano tramite organi rappresentativi delle popolazioni locali. Si presentano secondo due tipi: lo stato federale (archetipo: Costituzione statunitense 1787) e lo stato regionale (archetipo: Costituzioni spagnola 1931).
La tabella riassume le principali differenze:
Materia
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Stato federale
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Stato regionale
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autonomia istituzionale
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gli enti territoriali sono dotati di una propria costituzione, seppur subordinata a quella federale
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gli enti territoriali hanno uno statuto approvato con legge dello stato
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tipo di competenze
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gli enti territoriali sono titolari di funzioni legislative, amministrative e giurisdizionali
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gli enti territoriali sono titolari di funzioni legislative, amministrative ma non giurisdizionali
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criterio di distribuzione dei poteri legislativi
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la costituzione elenca le materie di competenza dello stato centrale (poteri enumerati), affidando il resto agli enti territoriali (poteri residui)
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la costituzione elenca le materie di competenza degli enti territoriali (poteri enumerati), affidando il resto allo stato (poteri residui)
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composizione della seconda camera
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la camera alta del parlamento nazionale è sempre formata da rappresentanti degli enti territoriali
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revisione costituzionale
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gli enti territoriali hanno un ruolo decisivo nel procedimento di revisione costituzionale
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il procedimento di revisione costituzionale è riservato solo al parlamento nazionale
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Le differenze tra i due modelli si sono nel tempo attenuate ed è difficile porre una nette distinzione (ad esempio, i Länder austriaci non hanno funzioni giurisdizionali).
All’inizio del XX secolo, e ancor più dopo la seconda guerra mondiale, si sono affermate politiche volte a fare dello stato una sorta di garante del benessere di tutti i cittadini (welfare state). Tali politiche, da un lato, richiedevano per la loro attuazione la forza politica e finanziaria del governo centrale, dall’altro, erano incompatibili con una elevata differenziazione delle prestazioni fra diverse aree del paese. ne è derivata quindi una diffusa tendenza centripeta: così è stato sia negli Statu Uniti sia in Germania.
2. LA GIUSTIFICAZIONE DELLO STATO
Le funzioni di comunità statale stanno alla base delle diverse dottrine dello stato, le quali si riflettono sulle forme di stato succedutesi in epoca moderna.
- La dottrina assolutistica: Thomas Hobbes
L’evoluzione dello stato moderno è accompagnato da riflessioni di alcuni teorici giuristi, politici e filosofi che giustificano nuove forme di potere. Thomas Hobbes teorizza lo stato assoluto. Per Hobbes lo stato di natura è una condizione di grave conflitto (homo homini lupus) ed è la forza bruta quella che vince sopra ogni cosa. Per uscire da questa condizione i sudditi decidono di sottoscrivere un pactus subiectionis (si parla infatti di dottrine contrattualiste, in quanto viene sottoscritto un patto, contratto) di sottomissione al sovrano, spogliandosi ognuno delle proprie possibilità, e trasferendo il monopolio dell’uso legale della forza nelle mani del sovrano in modo che protegga tutti da quelli che vogliono fare male. Si parla dunque di “assolutismo politico” perché questo sovrano è legato ai sudditi da un patto irreversibile e unilaterale, una volta costituito lo stato i cittadini non possono dissolverlo negando ad esso il suo consenso. Il potere sovrano è indivisibile e non può essere limitato in quanto distribuito tra poteri diversi perché questa divisione non garantirebbe neppure la libertà dei cittadini.
2. Lo dottrina liberale: John Locke
John Locke, anch’egli contrattualista, considera lo stato di natura uno stato di godimento in cui tutti gli uomini possiedono tre diritti fondamentali: il diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà. Allo scopo di salvaguardarli hanno anche il diritto di difendersi e per farlo essi trasferiscono per contratto tali diritti a un’autorità sovrana. I consociati stringeranno con lo Stato un un pactum unionis, o pactum societatis, un patto bilaterale in cui l’individuo si sottomette allo Stato che garantirà i suoi diritti naturale. Il trasferimento, che può essere sempre revocato, determina che lo stato abbia compiti delimitati alla tutela dei diritti naturali dei cittadini: la funzione dello stato è solo di riconoscerli e assicurarne l'intangibilità. John Locke teorizza lo stato liberale. Ispirandosi al costituzionalismo di matrice liberale Locke teorizzerà, come farà Montesquieu, la separazione dei poteri, caratteristica fondamentale dello stato liberale.
3. Le dottrine statolatre: Georg W.F. Hegel
La filosofia di Georg W.F. Hegel è legata ad una visione diversa da quella contrattualistica. A lui si deve la concezione dello stato come realtà spirituale, in base alla quale lo stato è la totalità che precede le parti, non uno strumento per la tutela dei diritto. Lo stato è il realizzarsi dell’opera millenaria della ragione; è il popolo che ricevono identità dallo stato, non viceversa. Senza lo stato l’individuo non ha identità e il popolo è solo moltitudine informe. Per questo, per il cittadino non si tratta di difendersi dallo stato, ma di identificarsi con esso. Per questo, Hegel può essere annoverato tra le dottrine statolatre, ovvero quelle dottrine che nutrono una fede cieca e assoluta nello stato. Quando ad uno stato così concepito si attribuisce una missione derivante da valori a loro volta pensati come assoluti (la nazione, la razza, la classe) si può parlare di stato etico, quello teorizzato dalle dottrine della destra fascista, nazista o falangista: uno stato che tende a riconoscere un capo, che ammette un partito unico, che si base su precise gerarchie e si una conseguente ricomposizione organicistica dell società.
4. Le dottrine marxiste: Karl Marx
Da Hegel si mosse la sinistra hegeliana che, attraverso Feuerbach, Engels ma soprattutto Karl Marx, utilizzò partendo dai rapporti economici (materialismo storico) la visione antropologico di Hegel. Secondo Marx il principale fattore di civilizzazione non era lo stato, ma la società civile. Egli negava il valore dell’individuo fuori dei rapporti sociali e al di fuori della sua collocazione di classe, perché la storia dell’uomo altro non sarebbe che storia delle lotte fra classi sociali. Secondo Marx lo stato era una macchina attraverso cui una classe esercitava il proprio dominio sulle altre. Inoltre, secondo Marx con l’ideale “dittatura del proletariato” lo stato avrebbe posto le basi per una sua progressiva estinzione.
Queste diverse impostazioni filosofico-politiche influenzarono i costituenti italiani. Da poco superato il fascismo, vennero decisamente rifiutate le dottrine statolatre e netta fu le influenze delle dottrine liberalcontrattualiste (si pensi all’art. 2 Cost.: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo). Nel contempo, differenziandosi dalle dottrine contrattuliste, si volle dare anche forte rilievo al personalismo comunitario: alle formazioni sociali intermedie, tutte quelle, numerose, “ove si svolge la personalità” dell’uomo. Dell’impostazione marxista, che rifiuta astrarre il cittadino dalla condizione sociale in cui concretamente versa, vi è significativa traccia nell’art. 3.2 Cost., il quale assegna alla Repubblica il compito di promuovere l’eguaglianza eliminando “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
- LE FORME DI STATO MODERNE E IL COSTITUZIONALISMO LIBERALDEMOCRATICO
Mentre le forme di governo riguardano il modo come si distribuisce il potere politico fra i vari organi dello stato, le forme di stato riguardano il modo in cui si atteggia il rapporto fra i cittadini e il potere politico, vale a dire il rapporto fra governanti e governati, nonché i fini ultimi che si pone l’ordinamento.
Si possono identificare le seguenti forme di stato.
- Lo stato assoluto
Tra il XV e il XVI secolo si consolidano le prime monarchie nazionali (Francia, Spagna, Inghilterra). Durante il Medio Evo, col feudalesimo, le entità territoriali erano limitate e i rapporti erano per lo più privati. Dunque risultava superflua una forma di diritto pubblico.
Il lento passaggio da entità territoriali limitate a grandi domini, pone il problema di una concentrazione di potere in un’unica sede. Così si afferma attraverso la guerra la preminenza degli uni sugli altri e a loro spetta la sovranità su porzioni territoriali sempre più vaste. Man a mano che il territorio si ingrandisce, si presenta un problemi fondamentali: la difesa dei territori già conquistati. Per sopperire a questa necessità, il sovrano, impossibilitato a pagare gli eserciti con il patrimonio della corona, incomincerà a imporre tasse ai sudditi. Lo Stato tutela la salvaguardia degli abitanti e allora essi devono pagare le tasse, concetto che ancora non si era sviluppato nell’apparato feudale. Dunque si propone il secondo problema: l’amministrazione interna dei territori. Nascono così contemporaneamente un apparato fiscale e un apparato amministrativo.
Lo stato assoluto si caratterizza per: la legittimazione del sovrano direttamente da Dio; l’accentramento in capo al sovrano di tutto il potere pubblico (compreso il monopolio legale della forza); la rigida divisione in classi sociali e riconoscimento all’aristocrazia di una condizione particolare grazie a privilegi e immunità.
- Lo stato liberale
Lo stato liberale è frutto della lotta vittoriosa della borghesia contro l'aristocrazia e l’altro clero, che si realizza nel periodo che va dalla Gloriosa Rivoluzione del 1688-1689 in Inghilterra alla Rivoluzione americana nel 1776, alla Rivoluzione francese del 1789. Esso è contrassegnato da una base sociale ristretta poiché il diritto di voto è riservati a coloro i quali possiedono un determinato censo (perciò è chiamato stato monoclasse), ma riconosce a tutti i cittadini i diritti di proprietà e di libertà.
- Lo stato liberaldemocratico
Dallo stato liberale sviluppa lo stato liberaldemocratico, che si comincia a delineare agli inizi del Novecento e si afferma allorché l’estensione del suffragio ai ceti esclusi e porta non solo al riconoscimento dei diritti politici a tutti i maggiorenni, ma favorisce l’organizzazione dei cittadini in partiti politici e in sindacati al fine di meglio rappresentare e tutelare i ceti più deboli: quindi diventa stato pluriclasse. Lo stato diventa ancora di più tutore e garante dei diritti dei singoli anche perché aumenta il numero dei diritti da tutelare. Si conferisce formalmente la sovranità al popolo. Si fa avanti il concetto di rappresentanza politica, ovvero rappresentanti legittimati da una volontà popolare.
- Lo stato sociale
Queste esigenze, accentuate dalla crisi del 1929, nello stesso periodo dell’evoluzione dello stato liberale, portano a un sempre più accentuato intervento dello stato nell’economia e al riconoscimento giuridico anche di specifici diritti sociali: da qui l’espressione di stato sociale.
5. Lo stato fascista
Fra le due guerre, mentre la crisi dello stato liberale ha portato nelle più consolidate società allo stato sociale, in Italia, Germania, Spagna e molti altri paesi europei lo stato fascista. Lo stato fascista si ispirava alla concezione autoritaria dello stato propria della destra hegeliana (valore assoluto all’autorità dello stato, diritti tutelati se conciliabili con la volontà dello stato, impostazione organicista e corporativa della vita economica).
- Lo stato socialista
Contemporaneamente, in Russia prima, con la Rivoluzione sovietica del 1917, e poi, dopo sa Seconda guerra mondiale, nei paesi dell’Est europeo, si affermò lo stato socialista. Questo si ispirava alla concezione della lotta di classe propria delle teorie marxiste (direzione dello stato affidata al partito espressione della classe operaia, collettivizzazione dei mezzi di produzione, libertà riconosciuto solo in quando funzionali alla costruzione di produzione di una società socialista.
Sia per lo stato fascista che per lo stato socialista si tratta di stato in via di regressione, fra loro antitetiche per base sociale e finalità politiche, pur ricorrendo a tecniche spesso non dissimili di organizzazione del potere.
- Lo stato confessionale
Del tutto estraneo alla tradizione liberaldemocratica è lo stato confessionale. Con tale nome si fa riferimento ad ordinamento che non accettano il principio della separazione della sfera religiosa da quella civile: il potere statale si fonda su basi religiose. Tramontati gli stati confessionali ispirati alla fede cristiana, oggi hanno caratteristiche di questo genere alcuni paesi islamici.
- Lo stato islamico trova diretta applicazione nella sharia. Questa consiste nel corpus di norme tratte dal Corano e da altre fonti basate sugli insegnamenti di Maometto; tali norme regolano ogni aspetto della vita privata e pubblica, sono considerate immutabile legge divina e l’interpretazione di esse è affidata ad autorità religiose. La conseguenza è da un lato il disconoscimento del pluralismo e del principio di uguaglianza, dall’altro l’insorgere dei diritti umani riconosciuti dai trattati internazionali.
8. Lo stato costituzionale
La disomogeneità della base sociale di questi ordinamenti e la ricerca di forme di coesione e integrazione sociale meglio garantite inducono a fissare in costituzioni rigide la tutela dei diritti civili, politici e sociali. Da qui la definizione di stato come stato costituzionale, inteso come evoluzione dello stato di diritto.
Il caso della Repubblica italiana
La Repubblica italiana può sinteticamente definirsi uno stato sociale che si ispira al costituzionalismo liberaldemocratico ed ha tutte le caratteristiche di uno stato costituzionale. Indichiamo qui in sintesi i valori, principi e tecniche che la caratterizzano:
- i diritti dell’uomo hanno il primato su ogni altro valore, nello stato sociale si aggiunge la tutela dei diritti sociali oltre che civili e politici;
- i titoli che legittimano riconoscimento di diritti e di doveri sono appunto la cittadinanza e, in molti casi, la condizione stessa di persona umana, e non l’appartenenza ad una corporazione o ad una classe;
- è garantito il principio di uguaglianza, la sovranità appartiene al popolo e il diritto e lo stato trovano il loro fondamento in esso;
- la principale tecnica di adozione delle decisioni politiche è il principio di maggioranza (marginali il principio di unanimità e di sanior pars, nel quale decidono i più degni)
- la sfera politica è autonoma dalla sfera religiosa in base al principio di laicità;
- l’ordinamento si fonda su una costituzione scritta e rigida; la legge è fonte di norme generali e astratte; il potere legislativo è attribuito ad assemblee legislative ed elettive;
- lo stesso sovrano è sottoposto alla legge (lex facit regem e non, come nello stato assoluto, rex facit legem);
- è perseguita la separazione dei poteri o, comunque, la loro limitazione secondo la tecnica del governo misto (nessun organo assume tutte le funzioni o all’interno della stessa funzione tutto il potere);
- i diritti dei cittadini sono garantiti ad opera di giudici indipendenti
- è previsto il controllo di costituzionalità delle leggi ad opera dei giudici.
- FOCUS 2.3 - Lo sviluppo del costituzionalismo
Due sono i caratteri principali che hanno caratterizzato li sviluppo del costituzionalismo:
l’idea di cittadinanza e la diffusione del controllo di costituzionalità
- L’idea di cittadinanza
L’idea di cittadinanza, di un rapporto tra il cittadino e le istituzioni, affonda le sua radici nella democrazia ateniese e nella storia di Roma. Sarà travolta durante il Medioevo dall’organizzazione feudale e corporativa, tanto che la rappresentanza nei primi parlamenti sarà composta per ceti. Con la rivoluzione francese saranno aboliti i titoli e i francesi non saranno più sudditi ma cittadini di Francia.
Il recupero dell’idea di cittadinanza porterà al cambiamento della basi stesse del potere statale. Il sovrano non trova più legittimazione in Dio (come diceva Hobbes) ma nella “Nazione”: ad essa spetta il potere costituente (già era menzionato nell’art. 3 della Costituzione francese del 1791).
Lo stato e il concetto stesso di cittadinanza trarranno dalla Nazione gli impulsi necessari per un’imponente modernizzazione, in varie direzioni: l’affermazione della certezza del diritto attraverso processi di codificazione; la separazione tra stato e chiesa, la costruzione di stabili apparati giudiziari, la crescita della burocrazia.
Nel XX sec. l’idea di Nazione degenererà in “ideologia nazionalista” fino a discriminare le minoranza, da quelle etniche e razziali a quelle religiose.
Le costituzioni liberaldemocratiche sostituiranno in seguito la Nazione, come soggetto di sovranità, con il “popolo”, i cittadini. Non basterà dunque, un eguaglianza davanti alla legge, ma servirà anche un eguaglianza delle opportunità. Questa ulteriore passaggio sarà favorito dall’ingresso dei ceti popolari nella vita dello stato, grazie all’estensione del suffragio universali a tutti i cittadini, a prescindere dal censo.
Già la Dichiarazione giacobina del 1793 riconosceva una serie di diritti sociali, ma essa fu effimera. La Costituzione di Weimar del 1919 si indirizza oltre alla tutela delle libertà civili e politiche, anche alla tutela dei diritti sociali come condizione per l’acquisizione di una piena cittadinanza.
Il concetto di cittadinanza ha consentito importanti risultati:
- la rivolta contro la chiusura delle classi e la società corporativa
- superare la finzione borghese della sovranità della Nazione
- rappresentanza democratica nei moderni parlamenti
- sconfitta del tentativo di costituzioni socialiste fondate sulla democrazia del governo classista di operai e contadini
- ha posto le basi per la conquista dei diritti sociali
- argine laico contro i tentativi di subordinare i diritti civili ad una confessione religiosa
- Dallo stato di diritto allo stato costituzionale
Il passaggio dallo stato di diritto allo stato costituzionale è stato un processo di una quarantina d’anni, dopo il secondo dopoguerra, di cui adesso possiamo vedere i profili teorici. Lo stato costituzionale non rinnega certo le precedenti esperienze ma compie un salti di qualità che porta al mutamento di alcuni caratteri fondamentali del diritto costituzionale. Non è solo uno stato che ha una costituzione, ma nella costituzione trova la propria identità.
- Le costituzioni non si limitano a disciplinare i rapporti tra gli organi costituzionali ma dettano norme che investano sempre di più i rapporti in seno alla società civile.
- Le tecniche di redazione del testo costituzionale mutano: per questo le costituzione sono “lunghe”, incorporano obiettivi di politica economica e sociale e ampliano il catalogo dei diritti.
- Si irrigidisce il testo della costituzione e si individuano i limiti assoluti alla possibilità stessa di revisione.
- A fondamento dello stato, anziché la legge, sono posti i diritti
- Dalla centralità dei diritti della persona deriva una più accentuata tutela dei diritti sociali.
- L'intensa attività delle corti costituzionali porta alla ricerca della conformità-difformità rispetto al parametro costituzionale.
- Prendendo atto della crisi di sovranità degli stati, le costituzioni si aprono all’esterno (dimensione internazionale) e all’interno (comunità regionali e locali)
- Il riconoscimento del pluralismo istituzionale e sociale mette in crisi il tradizionale sistema gerarchico delle fonti del diritto e giustifica la sempre più frequente applicazione del criterio della competenza.
- È fortemente valorizzato il ruolo dei giudici, impegnati in una attività interpretativa che ha come punto di riferimenti i principi costituzionali.
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